di Federico Tonioni *

Il Gaming Disorder è ufficialmente una malattia. In nessun modo questa notizia dovrebbe creare allarmismi, ma considerando quanto bambini e adolescenti sono attratti da questa attività ludica così seduttiva e sofisticata è necessario avere un’idea di come orientarci in questo mondo nuovo e sconosciuto alla maggior parte degli adulti. Cosa dobbiamo sapere?

Giocare è il modo più naturale con il quale un bambino scopre la realtà ed entra in contatto con gli altri. Non è importante se il gioco sia convenzionale o digitale, quanto evitare più possibile che un bambino giochi da solo. Giocare non genera patologie, la solitudine e il disinteresse sì. Ricordiamoci che giocare con i nostri figli e il modo migliore di stare con loro anche di fronte a un gioco digitale che non sappiamo condividere, proprio per questo avremo l’occasione di meravigliarci. Un figlio è più se stesso quando ci meraviglia che quando collude con le nostre aspettative, a volte schiaccianti.

Quando i ragazzi sono alle soglie dell’adolescenza (11-14 anni) tendono a giocare di più, come se i giochi digitali fossero un bisogno improcrastinabile. Nel gioco entrano in un mondo diverso, una zona di comfort dove è più facile pensare ad altro. Non è l’anticamera di una dipendenza patologica ma l’occasione per ricordarci quanto l’arrivo dell’adolescenza, accompagnata da corpo e mente che cambiano, possa spaventarli, così come in passato ha spaventato noi.

I bambini e gli adolescenti dei nostri tempi sono iperconnessi, perché hanno un profilo cognitivo diverso, dove prevale il linguaggio delle immagini rispetto a quello delle parole. Si tratta di un’evoluzione e non di una malattia. Non è un caso che i più piccoli mostrano la tendenza a iniziare a parlare con un po’ di ritardo rispetto a prima, sia perché hanno una grande facilità a costruire pensieri con le immagini sia perché gli adulti parlano meno con loro. Apprendere con le immagini è emozionante quasi come una nuova esperienza, al contrario apprendere con le parole può significare comunicare su una frequenza che molti bambini fanno fatica a ricevere. L’equivoco si ripete durante la scuola dove eventuali difficoltà diventano disturbi dell’apprendimento e non nuovi strumenti per apprendere. I bambini con disturbo dell’apprendimento sono bambini che si annoiano ed è sano immaginare una scuola del futuro fatta da visori immersivi (come si fa nei giochi) e dove i dati cognitivi siano integrati con esperienze emotive digitali, impermeabili alla distrazione.

Il gioco diventa gaming disorder quando è solo una consolazione, quando è sostenuto da una rabbia che non si vede, quando è associato all’abbandono della scuola e al ritiro sociale. E anche in queste circostanze non dobbiamo dimenticare che dietro a ogni dipendenza patologica c’è sempre un’angoscia più profonda. Per questo chi ha una dipendenza patologica non vuole perdere l’equilibrio ma mantenere l’unico equilibrio possibile. Vale per gli adulti e ancor più per gli adolescenti che hanno il diritto di essere compresi prima di essere curati. Esiste il gaming disorder ma l’adolescenza non è una malattia.

* ricercatore dell’Istituto di Psichiatria e Psicologia nella facoltà di Medicina della sede di Roma dell’Università Cattolica. È direttore del Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web, presso la Fondazione Policlinico Gemelli