Esperienze, progetti e percorsi di studio diversi, in comune un Erasmus iniziato a Parigi qualche mese fa: solo questo legava, prima della notte del 13 novembre che ha terrorizzato Parigi, le vite delle studentesse dell’Università Cattolica che abbiamo raggiunto a pochi giorni da quei fatti. Una notte che rimarrà per sempre impressa nelle loro menti.

Il flusso delle notizie iniziato alle 21:16 di venerdì sera con la prima esplosione allo Stade de France ha cominciato a scorrere inesorabile all’interno di bar e brasserie, in mezzo alle strade, tra sigarette fumate su davanzali di residenze studentesche e libri appena chiusi per prepararsi a uscire.

Eleonora, 23 anni, iscritta a Media Management alla Sorbona, si è appena seduta con i suoi amici al tavolino di un pub a due piani nel quartiere di Bastille, nel IV arrondissement, vicino all’XI. Quello che, tra le note del cantante country della serata e sms visti di sfuggita, le sembrava uno scontro tra tifosi, violento, ma comunque all’ordine del giorno, le si palesa come l’inizio di una serie di attentati.

La conferma arriva alle 21.25, quando ai ristoranti Le Petit Cambodge e Le Carrilon un gruppo di uomini a bordo di una macchina nera aprono il fuoco sui clienti. Poi altre sparatorie, sale il numero dei morti e dei feriti, fino ad arrivare alle 21:49, quando quattro terroristi fanno irruzione all’interno del teatro Bataclan in Boulevard Voltaire, durante il concerto della band americana Eagles of Death Metal, a cui assistono 1500 persone. Sparano sulla folla con i kalashnikov e si fanno esplodere con cinture cariche di nitrato d’ammonio. Il bilancio, solo al Bataclan, sarà alla fine 89 morti e centinaia di feriti.

Eleonora vuole tornare a casa, abita in una residenza non proprio vicino al pub, ma i trasporti sono totalmente bloccati: metro sbarrate, pullman inesistenti, solo qualche tassista si presta gratuitamente a dare passaggi alle persone. Centinaia di poliziotti che corrono in tutte le direzioni, urla, sirene, i primi feriti che escono dal Bataclan. L’hashtag #portesouvertes su Twitter incomincia a diffondersi in rete, ma Eleonora vuole tornare alla residenza dove vive con le sue colleghe.

«Si parla tanto dei benefici dei social network, ma quella sera nulla ha funzionato. Il sovraccarico di dati non mi ha consentito di connettermi su WhatsApp per tranquillizzare i miei genitori e i miei amici: la mia ultima connessione era registrata dieci minuti prima del primo attacco allo stadio. In particolare la funzione di Facebook “Safety Check” è stata inutile: una volta raggiunta la residenza, usando la rete wi-fi ho scoperto che una sconosciuta aveva confermato la mia incolumità. Lo stessa conferma infondata ha coinvolto due amici di una mia collega di stage che sono, però, morti dentro al teatro. È assurdo».

Eleonora, studentessa di Lingue a Milano, prosegue il suo racconto di quella notte: «Tra sirene e incubi non sono riuscita a chiudere occhio. Abbiamo mangiato tutto il weekend pasta all’olio, non avevamo più nulla in casa, ma solo il pensiero di uscire ci terrorizzava. Nel tardo pomeriggio di domenica, quando ho sentito il rumore degli elicotteri e ho visto le notizie, poi rivelatesi false, di una prosecuzione degli attentati nel quartiere ebraico Marais, sono impazzita. Mi sento come se fossimo dentro a una Terza Guerra Mondiale, da nessuna parte siamo al sicuro. Non dimenticherò mai come hanno reagito i parigini a questi attacchi: un esempio di solidarietà e unione patriottica invidiabili».

Anche Giorgia, che studia Lingue e Relazioni Internazionali a Milano ed è alla Sorbona da settembre, è rimasta colpita dalla reazione della gente: «Per fortuna venerdì sera ero a casa con amici e ci sono rimasta fino a sabato sera, quando sono uscita per portare una candela a Place de la République. La Francia si rifiuta di tacere e di avere paura. Ho sentito parlare di una bella iniziativa, #jesuisenterrace, un modo per dire ai terroristi che Parigi continua la sua vita frenetica e mondana». E con una nota di scetticismo aggiunge: «Non sono d’accordo con la decisione di Hollande di bombardare immediatamente Raqqa: in questo modo si combatte il terrorismo internazionale con la stessa arma dei terroristi. Spero che Hollande, Putin e Obama riescano a trovare in breve tempo una soluzione condivisa».

Eleonora e Giorgia, così come Caterina, che studia Economia alla Paris-Dauphine, e Chiara, che frequenta il corso di Banking e Finanza alla Paris Ouest, sono tutte d’accordo: «Rimarremo qui fino a febbraio, non vogliamo darla vinta ai terroristi». E dopo il blitz nel sobborgo di Saint-Denis, Parigi è pronta ad una nuova giornata, sempre a testa alta.

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