Un modello di prevenzione dell’infezione da Hiv e delle altre infezioni a trasmissione sessuale nelle donne, basato sul coinvolgimento attivo della comunità, e la formazione, in un’area rurale dell’Uganda: è questo il “Pe Atye Kena” project (che significa “No longer alone”: Mai più sole), promosso dalla sezione di Malattie infettive del Dipartimento di Sicurezza e Bioetica della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, diretto dal professor Roberto Cauda, e dal Centro di Ateneo per la Solidarietà internazionale (Cesi), grazie a un finanziamento della Conferenza episcopale italiana.

Il progetto, che si svolge al Comboni Samaritans Health Center di Gulu in Uganda, prevede il coinvolgimento di 500 donne di età compresa tra 18 e 49 anni residenti nella città di Gulu e nelle aree limitrofe che vengono individuate attivamente sensibilizzando su questi temi l’intera comunità.

All’Health Center di Gulu è loro offerto uno screening semestrale per Hiv, Hbv (Epatite B), sifilide, valutazione clinica di eventuali lesioni vulvovaginali e un questionario autoriportato su aspetti sociodemografici, su conoscenze e comportamenti a rischio sessuale. Lo studio dura tre anni ed è iniziato da un anno: durante questo periodo vengono effettuati interventi periodici attraverso il personale locale e altre donne “esperte” per migliorare le conoscenze relative alle modalità di trasmissione e acquisizione di Hiv, a come aumentare l’autodeterminazione sessuale e comportamentale, a come migliorare la propria salute sessuale attraverso modifiche culturali e conoscitive. 

In questo periodo, le attività del progetto sono momentaneamente sospese a causa del lockdown, ma il supporto alla comunità locale sta continuando. In Uganda vi sono 75 posti letto di degenza ordinaria per 1.000.000 di abitanti e un posto letto in terapia intensiva sempre per 1.000.000 abitanti. In conseguenza di ciò il ministero della Salute e il Governo ugandese stanno attuando strategie di contenimento e di prevenzione dell’epidemia di Covid-19 molto stringenti in termini di quarantena, isolamento e distanziamento sociale, perché, come tutti i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana, l’Uganda non può davvero permettersi la diffusione dell’epidemia. Non sempre, però, le indicazioni sanitarie riescono a raggiungere centri clinici rurali come nel caso del Comboni Samaritans Health Center dove si svolge il progetto, e quindi il team dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, in particolare grazie a medici specializzandi in Malattie infettive ha voluto supportare gli operatori sanitari locali attraverso un video personalizzato che li aiuti a prendersi cura dei loro pazienti in sicurezza. 

«L’Uganda è un Paese che ha fatto notevoli passi avanti nella lotta all’Hiv/Aids anche se l’effetto negativo dei lunghi anni di guerra civile sulla popolazione, in particolare quella femminile, continua a far si che ancora il 10% delle donne tra i 15 e i 49 anni abbiano l’infezione» spiegano le dottoressa Antonella Cingolani, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica, e Kathleen de Gaetano Donati, dirigente medico della Uoc di Malattie infettive del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs. «L’attività di supporto alla prevenzione di Hiv attraverso l’educazione e le modifiche comportamentali è svolta continuamente sia dall’Italia, attraverso incontri periodici con il personale locale, sia grazie all’attività residenziale di medici specializzandi della nostra sezione di Malattie infettive. Siamo altresì entrambe grate al dottor Francesco Aloi, biotecnologo dell’Area Endocrino–metabolica del Dipartimento di Medicina e chirurgia transazionale del nostro Ateneo, per il supporto attivo che ci sta fornendo, grazie anche all’esperienza che lui ha dell’Uganda per i molti anni lì trascorsi».

È possibile approfondire attraverso il sito web: www.peatyekena.com e la pagina Facebook: “Pe Atye Kena”.