Il prossimo 3 novembre gli americani saranno chiamati al voto per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Abbiamo chiesto ad alcuni giornalisti di varie testate, particolarmente esperti di politica americana e molti dei quali alumni dell’Università Cattolica, di aiutarci a capire dove stanno andando gli Stati Uniti e come affrontano uno dei passaggi più delicati della loro storia. Il nostro speciale


di Emiliano Dal Toso

L’America si appresta a vivere una tra le più complesse elezioni presidenziali della sua storia: emergenza sanitaria, violenza, discriminazione, crisi economica. Donald Trump e Joe Biden hanno esibito, senza troppi giri di parole, il peggio della politica, denigrandosi a più riprese, senza affrontare a viso aperto i temi più urgenti del Paese. Ad ogni modo, la partita elettorale è ancora aperta.

«Le sorprese sono assicurate» ci dice Carlo Renda uno dei maggiori esperti italiani di politica d’oltre oceano e vicedirettore di Huffingont Post Italia, la testata diretta da Mattia Feltri con cui l’Università Cattolica mantiene una proficua collaborazione. «Una previsione sull’esito è complicata perché appare evidente la difficoltà dei sondaggisti di interpretare il sentimento tra la popolazione. In particolare, i sostenitori di Trump sono notoriamente i più ostili ai media e ai sondaggisti. Non sarà una sorpresa se Biden vincerà per il maggior numero di voti, ma sappiamo bene che per il modello elettorale americano questo non significa che sarà sicuramente lui il presidente. Penso che la Pennsylvania sia lo Stato da osservare con maggiore attenzione, il risultato sarà cruciale. Non è un caso che sia il luogo in cui Biden è nato ma è anche uno degli Stati che quattro anni fa ha regalato la vittoria a Trump. E non è un caso che proprio in Pennsylvania continuino ancora a tenersi comizi».

Quali sono i temi più forti su cui hanno puntato Trump e Biden in questo rush finale? «Trump sta puntando su due concetti forti: l’America prima del Covid era fantastica, è stato lui a renderla fantastica e soltanto lui può farla tornare a quel punto quando arriverà il vaccino. Il secondo messaggio è che con Biden l’America è destinata a una sicura depressione economica e che i cittadini dovranno sopportare più tasse. Secondo Trump, il suo rivale ucciderà il benessere, perlomeno quel che ne è rimasto. Biden, invece, punta su un nuovo modello di sviluppo post-Covid, e gli gioca a favore la sua presentabilità. Anche in televisione cerca di parlare a un popolo unito ed eterogeneo, presentando quello stesso atteggiamento e quello stesso stile che aveva portato Obama, insistendo sulla speranza, sul cambiamento e su una maggiore armonia sociale ed economica». 

La pessima gestione della pandemia da parte di Trump inciderà sul voto? «Se Trump perderà significa che sarà stato il Covid a sconfiggerlo, non Biden. La confusione e i tratti negazionisti di Trump si sono rivelati un disastro totale, e questo ha permesso a Biden che la sua campagna elettorale potesse essere molto conservativa. Il Covid si è rivelato il peggior nemico di Trump. Va detto però che gli elettorati sono molto polarizzati, è vero che c’è una fascia di Repubblicani che non ama Trump, ma stiamo comunque parlando di un partito in cui non c’è un’idea di ripartenza. Lo voteranno comunque perché in questo momento tra i Repubblicani non esiste un’alternativa».

Quanto peseranno le tensioni razziali sul voto elettorale? «All’inizio, sembrava che potesse essere uno dei fattori dominanti. Ma il Covid e la crisi economica hanno preso il sopravvento. Fino a pochi mesi fa tutti gli sportivi, il cinema e il mondo dell’intrattenimento erano concentrati sulla questione dei diritti degli afroamericani, ma la verità è che negli ultimi mesi la campagna elettorale ha preso un’altra strada. Il problema razziale peserà meno di quanto si potesse pensare».

Molti giovani avrebbero preferito un candidato come Sanders. Crede che una parte dell’elettorato democratico possa astenersi? «La sensazione è che la scelta di Kamala Harris come vicepresidente sia stata felice, perché è una rappresentante degli afroamericani ma è anche un volto fresco, e seppur non sia una giovanissima leva, ha portato più energia. Il paradosso del Partito Democratico è che i giovani puntavano sul più vecchio, e questo pone molti interrogativi per il futuro. Le nuove leve hanno abbandonato subito la corsa, perché sapevano di non avere le carte per sconfiggere un candidato fortissimo come Trump. Allora si è scelto di puntare sull’usato sicuro. Candidarsi come presidente è soprattutto una questione di soldi, perché sono decisivi i finanziamenti dei donatori che scelgono in relazione all’immagine della persona che si presenta. Non c’è sempre un Barack Obama su cui puntare».

Quali potrebbe essere le novità più immediate che potrebbe comportare una vittoria di Biden? «In America non ci sono quasi mai svolte radicali, però sicuramente cambieranno i rapporti con gli alleati, con l’Europa, con la Nato, che avranno una fase di distensione notevole rispetto a Trump.  Difficile invece che cambi qualcosa con Russia e Cina. Cambierà soprattutto l’approccio al tema dell’ambiente, perché Biden ha una politica più simile all’Europa rispetto a Trump». 

Per concludere, possiamo dire che questa campagna elettorale è stata una delle peggiori di sempre? «Finora si parlava degli Stati Uniti come della più grande democrazia occidentale, ma queste elezioni hanno mostrato ancora di più che l’America non ha più alcuna lezione da dare ad altri Paesi. Queste elezioni saranno ricordate come una vergogna, per il clima di violenza e di semi-guerriglia, per l’assoluta mancanza di fair play tra i candidati. Una campagna elettorale estenuante, che ha comportato dei morti per la questione razziale. La sfida televisiva è stata un punto bassissimo, sia come qualità del dibattito sia per i toni adottati. Raramente si sono visti due candidati così noncuranti ad accendere gli animi, all’interno di un contesto economico e sanitario difficilissimo e grave». 

Che cosa ci dobbiamo aspettare? «Trump viene dipinto come un pazzo, ma in generale è una pagina buia per gli Stati Uniti. Chi vincerà lo farà sulle rovine di un Paese in cui la convivenza è sempre più precaria, così come lo sono le disparità tra Stati, comunità, appartenenze religiose. Non ci sono segnali di miglioramento. Mai come questa volta, chi vincerà le elezioni passerà in secondo piano, perché si troverà di fronte le rovine d’America. Il prossimo presidente affronterà un momento drammatico per un Paese che spesso è stato indicato come un faro, ma che ha sempre anticipato i problemi che sono poi emersi in Europa e in altre parti del mondo».


Quinta di una serie di interviste con giornalisti esperti di politica americana in vista delle Presidenziali Usa 2020