A maggio, dunque in piena “Fase 2” dell’emergenza da Covid-19, il 70% degli italiani ha dichiarato di aver acquistato, “spesso” o “sempre”, prodotti “made in Italy”. Ma soprattutto, questa percentuale risulta in crescita rispetto al 2019. Una dinamica che si ripete, ancor più impetuosa, con i prodotti locali e a “Km0”, basti pensare che nel 2019 risultavano nelle preferenze del 34% dei consumatori italiani, oggi sono frequentemente acquistati dal 53% dei cittadini.

Si tratta di alcuni dei dati elaborati dall’EngageMinds HUB dell’Università Cattolica e presentati dalla professoressa Guendalina Graffigna – direttore di questo Centro di ricerca e Ordinario di Psicologia dei consumi – nel corso del webinar “Spaventati, diffidenti ma engaged nell’alimentazione: come Covid-19 sta cambiando i consumatori” organizzato da AMA – Associazione Master Agroalimentare.

Il “made in Italy”

All’incontro, moderato da Fulvio Fevola, Senior consultant a Sinfo One e presidente AMA e trasmesso in diretta sui canali social AMA Network e Alumni Università Cattolica del Sacro Cuore ha partecipato anche Gianluigi Zenti – Ceo a Monti e Laghi Nuova società cooperativa agricola e Consigliere onorario AMA – che ha subito sottolineato come l’incremento dei consumi interni di prodotti italiani non compenserà la perdita in termini di export e di penetrazione dei mercati esteri: «Prendendo come esempio l’area nordamericana, l’impatto negativo di Covid-19 sui trasporti, che porta ad avere l’indisponibilità fisica dei prodotti italiani nella distribuzione, sta avendo l’effetto indesiderato di aumentare gli spazi a favore dei prodotti che richiamano l’italian sounding. Spazi – ha precisato Zenti – peraltro già ora ampi, se si pensa che negli Stati Uniti il 70% dei prodotti alimentari che richiamano il nostro Paese in realtà non sono italiani».

L’impatto sulle filiere

Ma Covid 19 ha impattato su molte filiere. Anzi, secondo Zenti «la pandemia ha mostrato la fragilità di molte filiere». Specialmente dove, ad esempio negli Stati Uniti, la catena della produzione e distribuzione alimentare è fatta da strutture di grandi o grandissime dimensioni, le filiere di molti prodotti sono andate in crisi. «Dopodiché c’è stato il boom degli acquisti online – ha proseguito Zenti – ma questo è rapidamente sfociato nella crisi della logistica e dei trasporti».

Il food engagement

«Andando più a fondo, la nostra ricerca – ha spiegato la professoressa Graffigna ha incrociato i dati con alcuni aspetti psicologici». Da questo punto di vista, tra le persone che percepiscono particolarmente elevato il rischio di contagio da coronavirus la preferenza a cibi “made in Italy” cresce sino al 77%, e arriva all’80% tra coloro che mostrano un forte “food engagement”

«L’EngageMinds HUB – ha proseguito Graffigna – ha sviluppato questo indicatore scientifico che valuta il livello di “engagement” delle persone nei confronti dell’alimentazione. Da un punto di vista psicologico significa considerare il coinvolgimento emotivo dei consumatori nelle loro scelte alimentari e la centralità soggettiva che alcuni prodotti alimentari può giocare nella vita dei cittadini».

Un indicatore per le aziende

Come ha rimarcato Fulvio Fevola nelle conclusioni del dibattito, il Food engagement dell’EngageMinds HUB può rappresentare un indicatore quanto mai prezioso, anche per le aziende, per interpretare alcune tendenze di comportamento alimentare del consumatore d’oggi.

E lo si vede dai dati della ricerca, perché come ha evidenziato Guendalina Graffigna: «Chi ha alti livelli di food engagement riporta un più marcato orientamento di consumo verso i prodotti certificati, made in Italy e a km0; oltre che verso i prodotti enriched e gli integratori alimentari che promettono maggiore supporto alle difese immunitarie. E prefigura un netto cambiamento di atteggiamento nell’alimentazione nel prossimo futuro, nella direzione di una maggiore attenzione verso la salute e l’igiene. Inoltre risulta più esigente e critico nella relazione con le aziende alimentari, nell’auspicio di un dialogo maggiormente trasparente e in una reale forma di partnership con il consumatore».