Non ci sono gli onnipresenti schermi del grande fratello che nel romanzo 1984 di George Orwell diffondevano gli slogan di partito e spiavano azioni ed emozioni, ma già le nostre teste sono controllate da droni, i nostri spostamenti sono registrati dalle celle dei nostri cellulari. Non siamo ancora arrivati a una sorveglianza di massa che consente di tracciare il singolo cellulare, ma l’emergenza coronavirus potrebbe portare a questo, anche se le norme sulla privacy per ora non lo consentono.

Il Governo sta pensando a una app che tracci gli spostamenti delle persone, segnali i luoghi frequentati da chi è stato contagiato, permetta di risalire ai cittadini con i quali è venuto in contatto. La strategia è quella della Corea del Sud, adottata con delle varianti anche da Israele. Il rischio paventato da qualcuno è che a breve termine le misure prese in periodi d’emergenza diventino poi permanenti. 

E tutte le norme sulla privacy, sulla tutela dei dati personali e della libertà di movimento che fine farebbero? «Sono innumerevoli le questioni che i sistemi di controllo fondati su algoritmi sollevano sul versante dei diritti» spiega  il professor Gabriele della Morte, docente di Diritto internazionale, in un dettagliato articolo pubblicato SIDIBlog: «dalla privacy alla tutela dei dati personali, passando per la compressione di fondamentali libertà, ad esempio quella di movimento. In un’ottica complessiva gli indubbi benefici di breve termine vanno comparati agli effetti che si potrebbero sedimentare in una prospettiva di più lunga durata». 

Come salvaguardare sia la tutela dei dati personali sia la salute, a fronte di una minaccia pandemica? «Certamente un approccio ispirato al criterio di gradualità fornisce una strategia ragionevole per ogni situazione inedita: occorre innanzitutto testare l’efficacia delle misure meno invasive e quindi incrementarle in caso di bisogno. Al contempo bisogna contemplare limiti invalicabili perché se è vero che talvolta gli Stati fanno ricorso a legislazioni d’urgenza per ristabilire in un secondo momento un adeguato sistema di garanzie (è accaduto anche in Italia: si consideri la stagione del terrorismo), oggi è il matrimonio tra regolamentazione d’urgenza e innovazione tecnologia che richiede particolare attenzione: dalla prima si può tornare indietro, dall’innovazione tecnologica, historia magistra, no».

Per il sociologo Valerio Corradi «in situazioni di emergenza, come già avvenuto in passato, il bisogno di sicurezza tende a prendere il sopravvento sulla libertà e diviene incerto il confine tra offerta di servizi per il bene comune e diffusione di nuove forme di controllo sociale, destinate poi a rimanere nel tempo. Una volta chiusa questa drammatica parentesi, sarà compito dei decisori pubblici operare (anche sul piano normativo) per trovare un difficile equilibrio tra l’impiego degli strumenti di telecontrollo e la tutela della privacy personale. Tutto ciò ben sapendo, come ricordava Zygmunt Bauman, che sicurezza e libertà sono valori entrambi necessari, ma in costante conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza».