È considerata fra le top 50 leader donne a livello mondiale nel settore dei software. Jessica Venturini, laureata in Scienze linguistiche alla sede di Brescia dell’Università Cattolica, lavora a Chiasso, in Svizzera, come Chief revenue manager per Board International, un’azienda che si occupa dei software che gestiscono e fanno pianificazione finanziaria e delle vendite.  

Una formazione umanistica e un lavoro in un’azienda di software. A dimostrare che non ci sono preclusioni per chi sceglie percorsi nelle humanities. «Nel mio caso, ma ne conosco molti altri, la formazione umanistica mi è servita moltissimo» afferma Jessica. «Nelle relazioni con le persone, fondamentali nel mio lavoro, e in tutte le carriere, per la mediazione con culture e background diversi, per la flessibilità e l’“abitudine” a prendere in considerazione visioni diverse: tutte cose cui una formazione umanistica prepara ottimamente. Chiaramente sono importanti anche la curiosità e la voglia di imparare competenze specifiche se si intraprende una carriera in ambiti “non umanistici”». 

Quando hai scelto di iscriverti alla facoltà di Scienze linguistiche, che lavoro volevi fare? «Non avevo le idee molto chiare. È stata una scelta “di pancia” o di passione. Ho frequentato il liceo Scientifico Sperimentale Linguistico “Calini”, che mi ha permesso di avvicinarmi sia alle materie umanistiche che scientifiche. Dopo la maturità mi sono trovata al bivio: una facoltà che mi “assicuri” un lavoro dopo la laurea (ingegneria/economia) o qualcosa che mi appassiona veramente? Ho preso in seria considerazione Ingegneria gestionale, ma la mia passione per le lingue e la letteratura mi ha portato verso Scienze linguistiche. Mi sono detta che studiare qualcosa che mi appassionasse mi avrebbe aperto più orizzonti come persona. Ho scelto l’indirizzo Turistico-manageriale per tenermi comunque uno spiraglio su quel mondo. Ho pensato ovviamente all’insegnamento come possibilità, magari a livello universitario. Ma in realtà più come un “ripiego” se non avessi trovato nulla di più “dinamico”; mi sono accorta quasi subito che non sarebbe stato il mio lavoro ideale». 

Che contributo ha dato l’Università Cattolica alla tua formazione, non solo linguistica? «Oltre alle competenze linguistiche, ho trovato un ambiente pieno di stimoli, sia culturali che sociali.  Inoltre, la mia prima esperienza all’estero è nata grazie al progetto Leonardo promosso da questo Ateneo. E quando ho deciso di fare un master in Irlanda, ho ottenuto una borsa di studio proprio dall’Università Cattolica, che mi ha permesso di concentrarmi a tempo pieno sullo studio. Devo dire molti “grazie” alla mia Università». 

Come si è sviluppato il tuo percorso di studi? «Dopo la laurea mi era chiaro che l’insegnamento non sarebbe stata la mia strada. Ho voluto completare il mio percorso con delle competenze più “pratiche” che mi permettessero di avvicinarmi più preparata al mondo aziendale. Così ho frequentato un Higher Diploma in Management and Marketing al University College Cork, in Irlanda. La scelta dello studio all’estero è stata dettata dalla mia voglia di sperimentare culture diverse e di fare un percorso di studi in lingua inglese (all’epoca poco disponibile in Italia)». 

Cosa significa essere fra le top 50 leader donne nel settore dei software, come rivela una classifica a stelle e strisce? «È stata ovviamente una grande soddisfazione, sia professionale che come donna. Sono stati fatti molti progressi, ma non si può ancora dire che ci sia parità assoluta tra generi in campo professionale, soprattutto in industrie tradizionalmente “dominate” da uomini. Quindi fare parte di un gruppo di donne cui viene riconosciuto un ruolo di leadership nell’industria è un grande onore».
 
È un traguardo reso possibile solo dall’aver cercato lavoro fuori dall’Italia? «Non posso dire che se avessi lavorato solo in Italia non sarebbe stato possibile: ci sono tante eccellenze anche nel nostro Paese. Dal punto di vista prettamente aziendale, forse però all’estero c’è più trasparenza sulle possibilità di crescita professionale. Tuttavia per me l’esperienza all’estero è stata indubbiamente fondamentale. Ho avuto la possibilità e il privilegio di lavorare in ambienti internazionali e di toccare con mano i benefici che la “diversità” offre. Ho imparato l’importanza di andare “oltre le apparenze” e cercare obiettivi e valori comuni, di “sfruttare” competenze e visioni diverse per creare più valore. Un insegnamento determinate sia professionalmente che nella vita privata». 

Tra i giovani c’è molta indecisione sulla strada da percorrere. Qualche consiglio? «Io ho seguito più la mia passione e non potrei consigliare diversamente. Sempre però tenendo presenti gli obiettivi professionali e di vita, insomma tenendo un po’ i piedi per terra. Passione e professione non sono per forza antitetici, possono coincidere. Le persone più felici che conosco sono quelle che hanno fatto della loro passione il proprio lavoro. Non smettere mai di imparare è un’altra cosa fondamentale. Il mondo è in continua evoluzione: non bisogna pensare che la propria formazione termini con una laurea o un diploma, bisogna essere curiosi e crescere sempre».