Sara Franceschini è una giornalista pubblicista, laureata magistrale presso il corso di Filologia Moderna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È inoltre diplomata presso la scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano. Cultrice della materia per i corsi di “Storia della radio e televisione” e “Giornalismo radiofonico e televisivo”, tenuti da Giorgio Simonelli e Paola Abbiezzi, tiene seminari sulla drammaturgia radiofonica. Tra il 2016 e il 2017 ha collaborato a un progetto di radio e video documentario con i detenuti della Casa di Reclusione di Bollate. Sempre dal 2017 è tutor e coordinatore del Master Fare Radio - Produzione e management dei prodotti radiofonici, uno dei tanti percorsi di alta formazione Almed. Con lei abbiamo parlato dell’importanza di un master come quello per il quale lavora ma soprattutto di un evento, I Love My Radio, andato in onda lo scorso 11 ottobre, capace di unire tutte le radio italiane sotto un’unica, grande bandiera: quella dell’amore per la musica del nostro paese.

 

Qual è la marcia in più che un master come Fare Radio dà a chi vuole affacciarsi al mondo radiofonico?
«Attualmente non esiste un percorso formativo così completo e capace di fare un focus sulla radio a 360 gradi come Fare radio. Durante l’anno di corsi e stage gli studenti che vengono ammessi riescono ad apprendere una visione completa di cosa una radio sia realmente: dal suo funzionamento pratico, con un’attenzione particolare al lavoro di redazione e amministrativo, alla figura dello speaker. Tutto questo passando anche per altri aspetti fondamentali come quelli del marketing, delle sponsorizzazioni, della creatività e dell’ufficio stampa. In pratica viene esplorato tutto quello che ruota attorno alla radio in quanto azienda di intrattenimento».

 

Una preparazione tout court insomma…
«Assolutamente sì. Quando vengono al colloquio conoscitivo del master sono solita dire agli studenti che, questo percorso di studi, lo devono vedere come un ponte capace di collegare il mondo professionale con quello amatoriale. Pur essendo quest’ultimo tutt’altro che una brutta parola – significa infatti per me “fare una cosa che sia ama” – quando si passa alla professionalità si gioca tutta un’altra partita: si deve tenere conto del mercato, del lavorare in un team e di tante altre regole importantissime. Un master come questo è uno strumento che permette di trasformare una passione in un lavoro, di colmare il salto che c’è tra questi due universi. In un mondo frenetico come quello nel quale stiamo oggi vivendo quello che manca maggiormente è il tempo: le aziende non possono più formare le persone che un giorno lavoreranno per loro. E con certe realtà, soprattutto come quelle radiofoniche, ci si deve presentare con le carte in regola per poterci rimanere dentro. Strumenti che il master come quello proposto dall’Università Cattolica riesce a dare».

 

Quanto è importante il sostegno di un'iniziativa come I Love My Radio per un percorso di studi come quello per il quale lavori?
«Assolutamente fondamentale. Un evento come quello andato in scena lo scorso 11 ottobre è unico nella storia. Per la prima volta, infatti, le radio di tutta Italia si sono unite in un progetto unico e condiviso, nato in un periodo storico altrettanto eccezionale come quello dovuto al coronavirus. Le varie stazioni radiofoniche nazionali invece di “farsi la guerra” hanno infatti deciso di collaborare per un obiettivo comune che è proprio sfociato in I Love My Radio. Il sostegno di un’iniziativa come questa, il cui obiettivo è quello di assicurare un futuro alla radio in Italia, è davvero straordinario. La radio è uno strumento estremamente cross-mediale, capace di adeguarsi all’evoluzione del mondo e dei vari mezzi di comunicazione. È proprio per questo motivo che continuerà sempre ad esistere. Ha superato infatti tanti problemi quante vicissitudini nel corso della sua storia: dall'arrivo del cinema a quello della televisione, dei social media e dello streaming. Per questo motivo noi del master formiamo una schiera di futuri professionisti, pronti anche a far fronte ad un mondo che cambia in continuazione».

 

È ormai risaputa la gravità che la crisi dovuta all’arrivo del Covid-19 ha creato anche nel mercato musicale. Come può un evento come quello dello scorso 11 ottobre aiutare la musica durante un momento così difficile come quello che stiamo vivendo?
«Quella che abbiamo affrontato durante l’ultimo anno è una crisi che ovviamente coinvolge non solo l’ambito per il quale lavoro. Tuttavia, se si guarda all’interno dell’universo radiofonico, il Covid-19 sta creando una serie di problematiche che toccano la radio e la musica in egual misura. I Love My Radio è un tentativo a mio parere molto nobile di riaccendere la luce e di garantire la sopravvivenza del mercato radiofonico e musicale in Italia. Solo restando uniti, aiutando tutti insieme il proprio Paese si può far fronte alla crisi in atto. Non per niente tutte le radio nostrane hanno proposto questa specie di “sfida” della musica italiana prendendo le canzoni più belle mai prodotte e composte dai nostri artisti facendole reinterpretare dai musicisti del momento. Tutto questo è stato fatto per mantenere alto il morale e lo spirito in un momento così difficile: se non c'è la positività e la voglia di continuare ad andare avanti allora nulla ha più senso. E l’unione di radio che fino a prima della pandemia erano da considerarsi “rivali” in un evento carico di positività come I Love My Radio, è stato un segnale davvero forte».

 

Qual è la cosa più stimolante del tuo lavoro?
«Sicuramente il poter essere testimone e partecipe di tutte le professionalità che nel master hanno orbitato e orbitano tutt’ora. Io stessa ho imparato tanto e continuo a imparare ogni giorno. Ho il piacere di incontrare professionisti del settore il cui contributo è la vera linfa vitale di Fare Radio. Il master per il quale lavoro è una fucina di idee e di possibilità. I giovani che si formano all'interno di quella piccola aula possono uscire e andare nel mercato e costruire il proprio futuro. Io ho il piacere di lavorare con questi ragazzi e ragazze che entrano da studenti ed escono come colleghi. È un percorso continuo che non si esaurisce mai: si continua a migliorare e ad apprendere costantemente. La cosa più stimolante è che tutto ciò vale anche per noi che siamo i coordinatori e tutor: impariamo tanto dai nostri studenti quanto loro imparano da noi. In poche parole, questo master è “uno scambio permeabile tra chi studia e chi insegna».