«Ogni essere umano a immagine e somiglianza di ogni altro; dopo di che tutti sono felici, perché non ci sono montagne che ci scoraggino con la loro altezza da superiore, non montagne sullo sfondo delle quali si debba misurare la nostra statura! Ecco perché un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Rendiamo inutile l’arma. Castriamo la mente dell’uomo». La provocazione di Ray Bradbury con il suo Fahrenheit 451– pubblicato in Italia per la prima volta nel 1956 dalla casa editrice Martello in un’edizione oggi introvabile – è stata alla base del convegno del 4 ottobre organizzato dal master in Professione editoria dell’Università Cattolica. Un incontro centrato sull’importanza della lettura e dei libri nella società contemporanea, che ha messo a confronto alcune voci di professionisti della cultura e di cultori del libro come Andrea Kerbaker, docente di Istituzioni politiche e culturali in ateneo, Oliviero Diliberto, bibliofilo, collezionista e docente alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma, e Giuseppe Lippi, direttore di “Urania” e traduttore di Bradbury in Italia.

Come ha spiegato Stefano Salis, che ha moderato l’incontro, «Bradbury ci mette in guardia contro un certo catastrofismo», perché bisogna considerare che il libro non è sempre esistito dalle origini della civiltà e dunque potrebbe anche sparire: il futuro della conoscenza può passare anche attraverso qualcosa di diverso dalla carta. «L’ebook - ha aggiunto - potrebbe bruciare a una temperatura anche superiore rispetto a 451 gradi fahrenheit…». Ma i roghi dei libri, secondo Kerbaker, sono quasi sempre, “fortunatamente”, determinati da eventi catastrofici più ampi, come guerre e bombardamenti, che non hanno come obiettivo esclusivo il libro. Ci sono casi, invece, in cui è l’incuria umana a essere responsabile: si pensi a un episodio non molto noto, ma importante, come l’incendio della Biblioteca Ambrosiana del 1943, in cui andò perduta gran parte della collezione di Federico Borromeo.

I roghi fatti apposta per bruciare libri sono limitati a pochi episodi nella storia dell’umanità, come quello del 1933 nella Bebelplatz di Berlino, forse fonte d’ispirazione per lo scrittore americano che, come ha raccontato Giuseppe Lippi, attorno al nucleo narrativo di Fahrenheit 451 ha sviluppato più di un racconto. «Il problema comunque - ha aggiunto Lippi - non è la conservazione dei libri, ma quella della memoria, perché è proprio lì che risiede la conoscenza». In Fahrenheit 451 gli uomini-libro imparano a memoria i libri per salvarli, «perché alla fine - come ha sottolineato Oliviero Diliberto - viene svelato il messaggio positivo: un libro, qualunque libro, è un rischio per chi detiene il potere totalitario ed è lo strumento della salvezza per chi lo subisce».