«Un giorno, da piccolo, lui era seduto sui gradini di un negozio, e vide passare una coppia. E pensò: anch’io, un giorno, avrò una compagna. Io ho cominciato ad esserci a partire da quel giorno». Nascono da queste significative esperienze autobiografiche i versi di Franca Grisoni, poetessa sirmionese ospite di Giuseppe Langella, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea, lo scorso 10 novembre in aula Bevilacqua a Brescia. Seguendo il filo conduttore del corso monografico del professore, dedicato ai volti dell’amore, la Grisoni ha incantato gli studenti leggendo le sue Poesie, titolo con cui è stata pubblicata da Morcelliana all’inizio del 2009 la sua vasta raccolta di testi poetici. Pietro Gibellini, nella prefazione dell’opera, ha definito Poesie un moderno Canzoniere in vita e in morte dell’uomo amato: con una profondità e una finezza fuori dal comune l’autrice scende infatti nel cuore degli individui fino a cogliere le radici e l’identità delle persone che si amano: «L’amore - ha spiegato la poetessa del Lago di Garda - è il leitmotiv della mia opera, ne parlo dalla prima all’ultima poesia. Non sono stata io a scegliere di trattare questo tema, ma è lui che ha scelto me: sono stata ispirata da un’esperienza sentimentale molto forte, il legame tra me e mio marito. L’amore di cui parlo, infatti, è quello coniugale. Nelle mie poesie si possono distinguere due momenti ben precisi: l’amore in vita e l’amore in morte del mio sposo». L’autrice, inoltre, sceglie di toccare l’anima dei lettori mediante l’utilizzo del dialetto sirmionese, perché «l’italiano è una lingua pensata, il dialetto invece nasce da dentro». In questo modo, l’umile diventa nobile e un tema - quello dell’amore coniugale - che nell’immaginario collettivo a volte è considerato piatto, si arricchisce di nuovi colori e nuove sfumature. «Non è solo amore - ha rimarcato la poetessa -: è soprattutto amore coniugale, che lega due persone per sempre. Oggi sono qui a portare proprio questa testimonianza: l’amore c’è, vive e circola impetuoso tra le persone».

La Grisoni ha aperto il Reading con Se gh’és de ’ncontram me (Se incontrassi me), in cui la donna e la bambina che è stata si incontrano e si interrogano sull’amore che lega la poetessa al marito: anche nel dialetto - fa notare la Grisoni - c’è una corrispondenza fonetica tra tùsa e spùsa. Ne Se so deter el sò sogn (Se sono nel suo sogno), la Grisoni prova invece a tracciare il percorso della genesi del’amore, che lei ritrova - nell’immaginario maschile -  nella donna ideale. «Nella letteratura - ha affermato la poetessa - ci sono moltissime donne ideali che grazie alle loro numerose doti fanno innamorare gli uomini. Nella poesia, “Lei” non si sente così grande come invece immagina “Lui” nella sua fantasia, perché “eser el sogn de ‘n om” non è da tutte». La favola, il mito, Penelope, Solveig e Dulcinea quindi, ma anche Barbablù, personaggio che rinasce nello splendido immaginario del Castello di Sirmione: l’oscurità e i divieti contenuti nella poesia Pase dai coridur (Passo dai corridoi) alludono proprio «al mistero che ognuno è, perché anche la conoscenza coniugale non è mai totale, c’è sempre qualcosa di insondabile». Non è un amore ideale, quindi, quello che lega i due amanti, ma un sentimento reale: «Quando ci si ama davvero - spiega la Grisoni - due persone possono anche  scontrarsi. Questi conflitti non scalfiscono il rapporto, bensì lo fortificano: racconto questa situazione nella poesia E a olte l’è al pès, che possiamo tradurre con E a volte è al peggio / che ti figuro, / ti invento i tuoi difetti, / su quelli lavoro / ma non spostano quasi niente, / ché ugualmente ti curo / ed è amore che cresce / se ti figuro».

Nei versi della poetessa bresciana, l’amore coniugale è talmente forte da essere mosso da un’energia cosmica (‘Ndó i burla zo vers te – Dove cadono verso te) in cui le identità degli amanti si fondono, perché “si diventa ciò che si contempla”. L’amore che lega i due sposi insomma è tutto tranne che scontato, e con Che somes maridacc (Che siamo sposati), la Grisoni introduce dei versi sottilmente erotici proprio per sfatare il luogo comune secondo il quale la passione termina dopo il matrimonio. Quello che lega la poetessa al marito è un amore forte, intenso, meraviglioso.

Non tutte le favole, però, hanno il lieto fine.
Ch’èi che la gira/la ciaf ne la me ma?/ Vergü comanda /ai dicc ch’i è dré a fa/e ‘l va che i sera, födracc/compagn de ‘n guant./I occ i varda/i ‘mpara chèl che i sa/e l’oter cör/ el pöl aca polsà:/töte le nocc el purtù/el sarà serat. (Chi è che la gira / la chiave nella mia mano? / Qualcuno ordina / alle dita che stanno facendo / e va che chiudono, foderate / come un guanto. / Gli occhi guardano / imparano ciò che sanno / e l’altro cuore / può anche riposare: / tutte le notti il portone / verrà chiuso). Questa poesia fa da spartiacque nella raccolta della Grisoni e sta a indicare proprio la morte dell’amato sposo. «Nel Cantico dei Cantici - ha spiegato, commossa, la poetessa di Sirmione - si dice che l’amore è forte come la morte. Ho sempre creduto molto in questa affermazione, pensando però che essendo l’amore più forte di ogni cosa, l’amato non avrebbe potuto morire. Così non è stato. Che forza è, l’amore, se non salva? Ho inteso pienamente questo concetto solo in seguito a un episodio preciso. Anni fa, a Sirmione, nessuno chiudeva a chiave la porta della propria casa prima di andare a dormire. Io non l’ho mai fatto, ma mio marito, marchigiano, non era stato abituato in questo modo e insisteva perché chiudessimo la porta della nostra casa. Dopo la sua scomparsa, improvvisamente, mi sono ritrovata una sera a chiudere la porta, e proprio in quell’istante ho capito che era la sua forza dentro di me che mi spingeva a compiere quel gesto: il suo amore, il nostro amore, continua a vivere dentro di me». Il dialogo tra gli sposi, quindi, continua anche dopo e prende la forma di alcuni simboli, tra i quali la piuma, in dialetto pena. Nella poesia Granda, come en segnal (Grande, come un segnale) la pena sta a significare molto cose: piuma - simbolo del dialogo tra “Lei” e “Lui” -, penna - strumento per scrivere l’esperienza - e dolore, sentimento che lacera la poetessa. Con queste poesie, quindi, la Grisoni racconta dell’amore in morte, percorso difficile e doloroso: dopo lo strazio iniziale, però, la poetessa ritorna con il tempo a vivere, e racconta questa trasformazione in  I du che se sares (I due che saremmo), che racconta della gioia e della meraviglia di “Lei” nel vedere una coppia di anziani amanti “tignicc per ma dal Ciel” (tenuti per mano dal Cielo). «Così è iniziata la mia conversione, nata dal dolore ma operata dalla poesia, perché è proprio quest’ultima che conduce Dio nel mondo. La sofferenza mi ha convertito alla Croce e questo processo mi ha permesso di trattare anche dell’amore che porta a Dio». L’ultima fatica della Grisoni, infatti, è stata chiamata Fiat: parola significativa, non accentata e volutamente in bilico tra il dialetto Fiàt - fiato vitale - e il latino “Fiat volontas tua”. La vena poetica della Grisoni si sposa quindi con il mondo religioso, e questo è un concetto chiaro anche in Passiù (Obliquo, Brescia 2008), una particolare interpretazione della Passione di Cristo, in cui, per esempio, sul Golgota accanto a Gesù non ci sono due ladroni, bensì un ladrone e una ladrona.