Un ricordo di Umberto Pototschnig, pur a caldo e veloce (lasciando a un momento successivo la riflessione più meditata e distesa) sul giornale online della Università Cattolica deve cominciare con una domanda essenziale? A cosa è dovuto il forte legame tra lui e l’università nella quale si è formato ed ha insegnato (ma solo per incarico), ma della quale non è mai stato professore organico, di ruolo? E, in subordine, perché Umberto Pototschnig è stato, da sempre, visto in connessione stretta con la Cattolica?

GLI ANNI DEL COLLEGIO

La risposta tocca diversi piani. Quello di base è rappresentato dalla sua direzione, dal 1956 al 1965, del Collegio Augustinianum, periodo al quale seguì, ma con tono necessariamente diverso, la direzione per altri nove anni della Domus Nostra, la residenza per assistenti e specializzandi universitari, collocata anch’essa nella mitica Via Necchi, che ospitava i collegi universitari nati negli ani ’30 da un’intuizione geniale di padre Agostino Gemelli. Proprio Gemelli affidò al giovanissimo Pototschnig (27 anni, all’epoca) la costruzione di un collegiale di tipo nuovo, che sapesse coniugare l’impegno assiduo, tenace ed assolutamente principale dello studio specialistico scelto, con una doppia volontà e capacità di autoformazione, sia sul piano di una larga e curiosa apertura culturale e civile sia su quello della crescita religiosa, mai imposta ma fortemente sollecitata ed esemplarmente sospinta. Per questo compito Umberto ebbe la ventura di essere coodiuvato da una figura sacerdotale di alto profilo, quale fu don Mario Giavazzi, che aveva solo qualche anno più di lui e che nel ricordo di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, era una persona capace di condurre, sia nel colloquio riservato e discreto come nelle pregevoli e acute omelie domenicali, un giovane a porsi le domande fondamentali, porgendo, in modo garbato ma fermo, il capo del filo delle risposte.

Umberto e don Mario costituirono un tandem formidabile nella capacità di educarci, cioè del trar fuori da ciascuno di noi il meglio di quello che c’era nelle nostre storie personali di giovani, volenterosi e capaci, venuti da ogni parte dell’Italia di provincia per misurarci e prepararci a diventare parte della classe dirigente di questo Paese.

Per molti di noi Umberto resta il Direttore dell’Augustinianum che, come un fratello maggiore più dotato di conoscenza e sapienza, ci guidava nei nostri percorsi di studio, di approfondimento culturale, di svago non effimero e di costruzione morale sulla via del carattere e dell’amicizia. Per tutti fu anche un maestro di uno stile improntato alla sobria eleganza, alla appropriatezza dei comportamenti e del linguaggio. Cito qui, solo per esempio, due fatti, certamente minori, ma significativi. L’orario di mensa (pranzo 12.45 e cena 19,30) era immaginato non come il consumo veloce di un pasto, ma come un convenire di tutti, insieme, nello stesso luogo e alla stessa ora per una sorta di rito in comune, nel quale il posto maggiore era dedicato al colloquio, al confronto, alla conversazione conviviale. Tutto il contrario di un self-service e pertanto chi arrivava in ritardo, dopo il suono della campana, era tenuto a recarsi dal Direttore, che ovviamente mangiava con noi, per scusarsi del ritardo con lui e con tutti, e così il tempo della convivialità terminava per tutti, di nuovo all’unisono, al tocco del campanello. Quando c’era la necessità/volontà di uscire dal collegio e si prevedeva di rientrare oltre le fatidiche 22.30, ci si recava dal Direttore chiedendo il permesso di uscire, ma Umberto si sarebbe irritato se un suo studente gli avesse “chiesto la chiave”, perché questa era solo «il mezzo tecnico onde poter rientrare».

Quelli citati sembrerebbero, e forse sono, episodi minimi, ma erano intesi alla costruzione di uno stile, che non era l’ultimo degli obblighi richiesti per stare in collegio - oltre il mantenimento, senza eccezioni, dei requisiti di merito - come anche la necessità di imparare a scrivere a macchina (sulle mitiche Lettera 22) redigendo in modo ordinato schede ed appunti che sarebbero serviti per la preparazione degli esami e della tesi di laurea. Per chi, come chi scrive, ma in compagnia di tantissimi giovani, ha avuto la fortuna di “formarsi” all’Augustinianum, sotto la guida di Umberto e con la prossimità, non solo fisica, all’Università Cattolica, questi anni restano un imprinting indelebile.

LA SCELTA ACCADEMICA

Resta da rispondere alla domanda iniziale. Perché una persona con le doti e le qualità scientifiche, culturali ed umane di Umberto Pototschnig non è diventato professore di ruolo in Cattolica? Nella premessa della risposta si deve ricordare che, all’avvio della sua carriera di studioso di diritto amministrativo (laureatosi con il professor don Rovelli) sulla cattedra dell’Ateneo era da poco arrivato un autorevolissimo studioso e Maestro, Feliciano Benvenuti, che seguì e sostenne la carriera di Umberto, consentendogli di vincere il concorso nazionale, agli inizi del 1964 (quando aveva da poco compiuto 34 anni) e destinandolo alla sede prestigiosa di Pavia. Pototschnig aveva già avuto da qualche anno l’incarico di Istituzioni di Diritto pubblico e Legislazione scolastica (nella facoltà di Magistero dell’Ateneo) ed anche quella di Diritto Costituzionale italiano e comparato (nella facoltà di Scienze Politiche). A tale ultimo proposito ricordo di aver frequentato le lezioni dell’anno accademico 1963/64 nelle quali fu svolto un approfondito corso monografico sulla innovativa costituzione jugoslava approvata da un solo anno: così si faceva lezione in quegli anni. Del resto Umberto ha intitolato un suo pregevole saggio: “Insegnare all’Università: un mestiere diverso”.

Nel 1965, dopo la morte del professor Francesco Vito, il nuovo rettore Ezio Franceschini aveva incluso Pototschnig nella ristretta cerchia dei suoi consiglieri d’indirizzo, ed altrettanto alta, a partire dal mitico ’68, era la stima del nuovo rettore Lazzati. Così tutti si aspettavano che, al momento del ritorno a Venezia del “doge” Benvenuti, Umberto lo avrebbe sostituito sulla cattedra.

Nonostante l’invito proveniente dalla facoltà di Giurisprudenza nel 1978 (che alcuni di noi ritengono, tuttavia, un poco tardivo…) la scelta, meditata e sofferta di Umberto fu quella di accettare la richiesta di Antonio Amorth, che lo voleva come suo successore sulla cattedra della Statale.

In un colloquio con Lazzati e in una bellissima lettera al preside Balladore Pallieri, Pototschnig motivava la sua decisione di andare “to the other place” perché riteneva prioritario, in quella fase della sua vita, recare una testimonianza cristiana in un ambiente laico. Certamente i legami con l’Istituzione guidata dal rettore Lazzati si mantennero saldi e cordiali, ma l’occasione era stata, per così dire, perduta. A testimonianza del permanere di un elevato senso di fraternità con la Cattolica possono leggersi, fra le tante, la magnifica relazione tenuta al Convegno di Verona del 1977, intitolato “La laicità dello Stato”, che non per caso apre la raccolta degli Scritti scelti dedicati al Maestro e quella del Convegno di Ferrara del 1980 in tema di pluralismo sociale nello Stato contemporaneo.

Il legame tra Pototschnig e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, mediato ed anzi esaltato dall’intensissimo novennio dell’Augustinianum, è stato dunque una delle cifre distintive e qualitative di un uomo che ha sofferto per gli ultimi 25 anni di un male inizialmente subdolo, poi debilitante ed infine straziante ed inesorabile. Resta, da parte dei tantissimi che gli hanno voluto bene, da lui affettuosamente ricambiati, il ricordo di chi ci è stato amico nell’età più bella.

 

* Ordinario di Diritto Costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza, amico e allievo di Umberto Pototschnig