In Italia si chiama informatore. In altri contesti è il testimone di giustizia. A volte lo si definisce “pentito”. Sta di fatto che – in uno dei Paesi europei in cui il tasso di corruzione nell’amministrazione pubblica e nel settore privato costa 60 miliardi di euro l'anno – figure come questa non godono della stessa tutela di cui si avvantaggiano, ad esempio, nei Paesi anglosassoni. Lì l’informatore lo chiamano "whistleblower": letteralmente "colui che soffia nel fischietto".

Di questo si è parlato nel convegno “Il whistleblowing in Italia. Promozione e tutela delle segnalazioni come misura di prevenzione della corruzione”, organizzato dal dipartimento di Scienze Politiche nel plesso di via Nirone a Milano.

«Anche se – ricorda il professore Massimo de Leonardis, direttore del Dipartimento di Scienze politiche, che ha portato i saluti introduttivi ai lavori – una figura molto simile viene individuata nel Ddl anticorruzione di recente approvazione ma solo tra i dipendenti pubblici». In attesa di un adeguamento normativo bisogna trovare e applicare altri strumenti. Uno di questi, secondo la professoressa Maria Teresa Brassiolo, è il cosiddetto "patto di integrità": «Questo documento – afferma il presidente di Transparency Italia – è stipulato tra istituzione e partecipanti alle gare d'appalto pubbliche: prevede controlli incrociati e sanzioni immediatamente applicabili nel caso in cui qualcuno dei partecipanti cerchi di eluderlo».

Anche la responsabilità sociale dell'impresa, introdotta dal decreto legislativo 231 del 2001, può rappresentare un aiuto: «Anche l'ente – sottolinea Nicoletta Parisi, docente di Diritto internazionale dell'Università di Catania – può essere responsabile dell'episodio di corruzione e se ne può sgravare solo se si dota di un sistema organizzativo che combatta la corruzione». Prevenzione del reato e ruolo attivo del cittadino, secondo Davide Del Monte, Project officer di Transparency Italia, sono i principali meriti della figura del whistleblower mentre Giorgio Fraschini, Lead researcher dell'associazione, precisa che il whistleblower italiano è tutelato solo se non commette calunnia, diffamazione e danno ingiusto respingendo la critica di delazione anonima rivolta alla figura della vedetta civica.

Infine, secondo gli avvocati Iole Anna Savini e Fabrizio Vedana, membri dell'associazione Aodv 231, oltre al passo importante, ma non sufficiente, della recente introduzione del reato di corruzione tra privati, uno strumento fondamentale nella lotta alla corruzione è l'organismo di vigilanza che monitora le società sul funzionamento del modello prefigurato dal decreto legislativo 231/2001.