Lunedì 10 dicembre, in libreria Vita&Pensiero, protagonista della «Vetrina letteraria» è stato il Natale, o meglio il Natale Mediterraneo, titolo dell’ultima raccolta di racconti pubblicata da Interlinea nella collana «Nativitas». Lontano dall’idea di una festività soprattutto consumistica, il Natale raccontato qui, come ha sottolineato Giuseppe Langella che ha introdotto l’incontro con alcuni degli autori, è un momento cruciale, una «celebrazione del ritorno a casa e della famiglia che si riunisce».

Lo ha scritto anche l’editore nella nota introduttiva al volume: c’è qualcosa di particolare che caratterizza e differenzia il «Natale mediterraneo» da quello vissuto in altre parti del mondo. In chi ritorna a casa c’è sempre «uno spaesamento da superare, una lontananza da accorciare, un vuoto da colmare. A Natale si torna dalla città e ci si impossessa della condizione di «paesitudine», si invoca il ritorno dei propri figli, si aspetta il prodigio di una moltiplicazione di pani, si fugge dalla vita e dalla storia». Al centro delle storie sono personaggi particolari, come il «Cibicotti»,di Lucrezia Lerro, che vive in questo momento dell’anno un’esasperazione del suo disagio, della sua solitudine, che lo porta cercare nel presepe della chiesa un conforto al suo senso di esclusione.

La rievocazione delle tradizioni e del passato va in queste pagine di pari passo con il ricordo dei morti, anche loro protagonisti del Natale di chi torna a casa e cerca quello che ha lasciato partendo. «L’uomo che se ne va dal suo paese, anche se non lo vuole, crea uno strappo, che non si ricomporrà mai più», queste le parole di Giuseppe Lupo, che nel suo racconto Un Natale di Nebbia immagina questa frattura ricomporsi, nell’avventura di uno studente universitario che tornando a casa si trova improvvisamente catapultato nel passato della sua famiglia e, in una dimensione quasi onirica, incontra la madre giovane: «Io stavo scavalcando il davanzale e lei mi ha visto proprio in quella posizione, con un piede di qua e l’altro di là. Non ha detto niente. Forse mi aveva riconosciuto perché si è avvicinata ad accarezzarmi i capelli, come avrebbe fatto tutte le volte in cui, nei miei primi anni di vita, mi ammalavo per colpa delle tonsille. Ha chiesto davvero se ero suo figlio. Aveva la voce di quando io non andavo ancora a scuola, la voce di una donna in un corpo di ragazza. Poi ha aggiunto: «Non scappare via. Chiunque tu sia, resta con noi oggi che è festa».