Non dimentichiamoci di Dio, si intitola così il saggio appena pubblicato da Rizzoli. Un'esortazione - più che un imperativo - rivolto a tutti, credenti e non, ma soprattutto alle Chiese e ai cristiani d'Europa che il cardinale definisce "estenuati" dalle questioni che da secoli l'Occidente si porta sulle spalle.

Dopo il discorso in occasione della festività di Sant'Ambrogio, il cardinale Angelo Scola torna a parlare di laicità dello Stato e libertà religiosa. E lo fa in quello che lui definisce un "volumetto", ma che si rivela in realtà un percorso culturale complesso, che prende avvio dall'Editto di Costantino, del 313 d.C, e arriva alla riflessione teologica di Benedetto XVI.

La libertà religiosa è solo apparentemente un tema da dibattito filosofico. Essa pone infatti una questione di drammatica rilevanza politica e sociale. «Se la libertà religiosa non diviene libertà realizzata, posta a capo della scala dei diritti fondamentali, tutto è destinato a crollare». Così alla presentazione del suo libro, l'arcivescovo di Milano ha acceso il dibattito tra quattro interlocutori di rilievo: il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, e quello del Foglio, Giuliano Ferrara, il giurista Francesco D'Agostino e il direttore di Repubblica Ezio Mauro.

«La fede è tollerata se si esprime in ambiti privati, osteggiata se agisce nello spazio pubblico in nome di ciò che si definisce laicità», ha commentato De Bortoli, a cui ha fatto eco Ferrara: «Nell'Europa di oggi il conflitto non è tra fedi diverse, ma tra lo Stato totalmente secolarizzato e la Chiesa con la sua precisa identità». Il cristiano, però, non può più tacere di fronte a una laicità intesa come spazio pubblico neutrale in cui tutto è tollerato. Tutto, tranne la domanda di Dio. Perché, per esempio, «una società civile che non dia al matrimonio il suo vero nome - a ogni cosa corrisponde sempre soltanto un nome - sarà una società meno consistente e meno solida», ha spiegato il cardinale.

Ma che posizione assume lo Stato moderno di fronte alla pretesa religiosa di uscire dai confini intimistici e di essere «presenza viva nel mondo»? Una domanda che «apre una ferita», anche per chi intende il trascendente come uno spazio che con vita sociale e cittadinanza ha poco a che fare. «La ricerca della città di Dio è pienamente libera», ha sottolineato Ezio Mauro. «Purché non si pretenda che le leggi di quella città valgano anche per me». Parole decise, che hanno trovato risposta nell'intervento finale dell'arcivescovo: «L'a-confessionalità dello Stato non deve significare un distacco indifferente nei confronti delle visioni del mondo, ma deve favorire un confronto serrato tra tutte le religioni, in vista dell'individuazione di quei temi comuni, materiali e spirituali, che permettono una vita buona associata».

Solo così, ha aggiunto Scola riprendendo le parole di Benedetto XVI, potrà essere attuata quella «necessaria speranza affidabile», che è oggi il maggiore problema delle chiese e delle società europee. Ai laici, dunque, la grande sfida: abbandonare la laicité di retaggio illuminista - che intende l'a-confessionalità come assenza di Dio - perché «la ragione non è mai atea e l'errore alla base di ogni ragionamento è intendere la laicità come cancellazione totale di senso».