«Quando sei piccola provi a disegnare la tua vita, immaginando come sarà; a me è successo tutto l’opposto, ma sono comunque contenta, va bene così.»

Omayma ha otto fratelli ed è nata nel 1996 in Siria. La vita lì era agiata, grazie alle attività del papà (che possedeva una fabbrica di dolciumi e un ufficio di compravendita di automobili); Omayma va a scuola, ottiene ottimi risultati e conclude le scuole superiori con il desiderio di proseguire a studiare e diventare un’ambasciatrice.

All’improvviso però la guerra, la distruzione e la paura prendono il sopravvento, e rifugiarsi in Libano sembra a quel punto l’unica soluzione possibile. Da Homs, la loro città di origine, Omayma e la sua famiglia riescono con non poche difficoltà a rifugiarsi vicino a Damasco e a riorganizzare da capo la propria vita. Iniziano qui le prime rinunce: «I più grandi tra i miei fratelli, che all’epoca erano ancora minorenni, hanno iniziato a lavorare per aiutare a mantenere la famiglia assieme a mio papà e per permettere ai più piccoli di studiare: essendo nati durante la guerra non sapevano ancora né leggere né scrivere, e abbiamo deciso di comune accordo di pagare per mandare loro a scuola. Noi grandi avevamo già un buon grado di istruzione, e per i piccoli abbiamo rinunciato per un po’ allo studio».

Nel 2016 la famiglia di Omayma coglie al volo l’opportunità messa a disposizione dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR): arrivare in Europa, in particolare in Italia, e proseguire lì studio, lavoro e vita. La Siria, pur rimanendo sempre nel cuore di Omayma, in quel momento non può offrire nulla, e il Libano non sembra affatto la sistemazione definitiva; ecco allora che la numerosa famiglia atterra a Roma, piena di speranze e promesse. Purtroppo trovare una casa per dieci persone non è facile, e per un anno e mezzo Omayma, i suoi sette fratelli e i genitori risiedono in un centro di accoglienza a Milano.

Un periodo di tempo davvero lungo e complicato, reso ancora più pesante dal peggioramento delle condizioni di salute dei genitori, dalle ristrettezze economiche e dagli ostacoli della lingua italiana, così diversa dall’arabo; la passione per lo studio di Omayma, la tenacia nell’imparare l’italiano e nel voler far conoscere a quante più persone possibili la sua storia sono riusciti a un certo punto a sbloccare la situazione, e a permettere ai genitori e ai sette figli minorenni di trasferirsi in una casa tutta loro.

Nel frattempo Omayma porta a termine le scuole superiori: «Nel 2019 ho preso la maturità italiana. Ho sempre avuto questo grande amore per lo studio, e uno dei miei sogni era quello di iscrivermi in Università Cattolica, e ci sono riuscita grazie al Comune di Milano in collaborazione con SPRAR. Non pensavo sarebbe mai successo, perché in quel momento il mio obiettivo principale era quello di lavorare per mantenere la mia famiglia (e in quel periodo stavo lavorando nell’asilo nido dove avevo fatto uno stage durante le superiori). Volevo tantissimo proseguire gli studi, ma anche andare avanti a lavorare, quindi ero molto combattuta, ma grazie a persone generose e volenterose sono riuscita tramite un loro contributo a pagare la prima rata e tutte le procedure per l’iscrizione a Relazioni Internazionali in Cattolica: ora sono al secondo anno di corso».

Assieme ai fratelli, che si stanno impegnando con costanza per portare avanti le loro ambizioni (creando un vero e proprio dream team composto da un orafo, un odontotecnico e un idraulico, mentre i fratelli più piccoli stanno concludendo le scuole avendo già chiaro cosa vorranno fare da grandi), Omayma sostiene economicamente la famiglia e i genitori, al momento privi di impiego.

Districarsi tra lavorolezioni universitarie e il pensiero della responsabilità e della salute poco stabile dei genitori inizia a diventare davvero complicato, e un improvviso crollo durante una lezione di inglese permette a Omayma di conoscere più da vicino la professoressa Michela Porro, che da quel momento la segue e si prende a cuore la sua storia.

«È grazie a lei che mi sono avvicinata allo studentwork di EDUCatt e che ho iniziato a lavorare in mensa: si è trattato di un’esperienza strana per me che ero abituata a lavorare in un asilo nido, ma ha aiutato me e la mia famiglia e mi ha permesso di organizzare con comodità i turni in base alle lezioni che dovevo seguire»; ed è qui che Omayma e Casa Fogliani entrano in contatto: grazie al progetto sociale di EDUCatt che reinveste le marginalità ricavate dalla vendita di prodotti gastronomici nel futuro di giovani promettenti, Omayma viene seguita nella preparazione degli esami di inglese – materia in cui confessa di avere qualche difficoltà – e non solo (sempre tramite Casa Fogliani i suoi genitori hanno avuto la possibilità di essere visitati e seguiti da un’équipe di medici).

Adesso Omayma, che da poco convive con il suo compagno, un ragazzo siriano che lavora con i rifugiati, è concentrata sulle lezioni del suo secondo anno di corso, e si sta impegnando al massimo per realizzare il suo sogno di lavorare in ambasciata e aiutare persone che hanno vissuto storie simili o peggiori della sua. Conclude il suo racconto sottolineando che non vuole che la sua storia faccia star male le persone, ma desidera far vedere loro tutte le fortune che non si riescono a vedere: «Io ci tengo molto a far sapere a chi non ha vissuto queste cose l’importanza della pacedella famigliadi vivere tranquilli. Mi spiace molto quando vedo persone che si intristiscono o si disperano per sciocchezze, e vorrei far vedere loro quante cose molto più importanti ci sono nella vita, e come non vadano mai date per scontate».

Sempre con la serenità e la dolcezza che la contraddistinguono, Omayma non nasconde quante volte sia stata vicina a perdere la speranza: «So che molte persone al mio posto avrebbero gettato la spugna. Io stessa in più occasioni mi sono detta che ero arrivata al limite, che non riuscivo più ad andare avanti, che avevo già vissuto esperienze fin troppo pesanti per una ragazza della mia età. Ma poi guardo la mia famiglia, vedo gli occhi dei miei fratelli e il bene che ci vogliamo, e grazie a questo mi riprendo sempre, e trovo le forze per fare sempre un passo in più».