La pandemia scatenata dal Covid-19 e la crisi economica hanno rappresentato una sfida formidabile per i governi di tutto il mondo. Per l’Europa la minaccia è stata ancora più insidiosa, poiché il governo dell’economia avviene nel nostro continente su più livelli: quello nazionale, quello della zona euro e quello della Unione Europea. Eppure se all’inizio, con lo scoppio della pandemia, l’Europa sembrava stesse per rimanere imprigionata nelle sue logiche fatte di diffidenze reciproche, veti incrociati e complicazioni procedurali, ha dimostrato, invece, di sapere agire in tempi rapidi e con decisioni importanti. Alcuni degli strumenti introdotti, come Sure e Recovery Fund ne sono una riprova.

La reazione europea alla crisi generata dal Coronavirus è al centro del n.2/2020 di Osservatorio Monetario. Il rapporto, curato dal Laboratorio di analisi monetaria (Lam) dell’Università Cattolica, è stato presentato giovedì 22 ottobre nel corso di un webinar organizzato in collaborazione con l’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (Assbb). All’evento, hanno partecipato, tra gli altri, i docenti della Cattolica Andrea Boitani, Massimo Bordignon, Marco Lossani, Marco Buti, Commissione Europea, Elisa Coletti, Banca Intesa Sanpaolo, Giorgio Costantino, Crif, e Andrea Resti, Università Bocconi. Introduce i lavori Rony Hamaui, docente di Economia monetaria. 

«Dall’Osservatorio Monetario emerge come, dopo qualche tentennamento inziale, la risposta europea alla crisi economica generata dal Coronavirus sia stata forte», spiega Angelo Baglioni, direttore di Osservatorio Monetario e docente di Economia monetaria nella facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. «Solo per l’Italia l’Europa tra Sure (27 mld), Mes (36 mld) e Recovery Fund (210 mld) ha stanziato circa 270 miliardi che possono essere utilizzati per finanziare progetti di crescita». 

In particolare, guardando l’intera zona euro, il Recovery Fund, o meglio il Next Generation EU, mette a disposizione nei prossimi anni 750 miliardi di euro a livello europeo. «Ora è di fondamentale importanza progettare bene l’utilizzo di questi fondi. I settori sui quali investire sono noti: l’ambiente, la digitalizzazione, l’istruzione, la ricerca, l’efficienza della pubblica amministrazione», rileva il docente di Economia monetaria.

Un altro strumento importante è Sure, il nuovo fondo europeo di sostegno ai lavoratori colpiti dalla perdita del lavoro. «Il fondo, partito con una dotazione di 100 miliardi di euro, è già un successo: 17 paesi europei hanno fatto richiesta per utilizzarlo, per un totale di 87 miliardi, di cui 27 sono andati all’Italia». Non altrettanto si può dire per la nuova linea di credito del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) dedicata alle spese sanitarie, 240 miliardi, di cui 36 potenzialmente destinati all’Italia. «Nessun paese ha fatto finora richiesta per utilizzarla. Purtroppo il Mes, al di là delle polemiche italiane, si porta dietro una cattiva reputazione, uno stigma legato al fatto che soprattutto nel caso della Grecia sono state imposte condizioni molto pesanti a fronte di questi prestiti, come aggiustamento di bilancio o licenziamenti di risorse impiegate nel settore pubblico. Dovrebbe essere ormai chiaro che l’unica condizione è che venga destinato a spese (direttamente o indirettamente) legate a motivi sanitari».

Accanto a strumenti come Sure, Mes e Recovery Fund, la Bce ha messo in campo anche un nuovo piano di acquisto di titoli, pubblici e privati, per 1.350 miliardi, che si aggiunge a quelli già esistenti, riavviando su larga scala il Quantitative Easing. «Questo vuol dire che la pressione che in questo momento il tesoro italiano ha nel dover emettere titoli è un po’ minore con il risultato che sul debito che emettiamo adesso stiamo pagando tassi estremamente bassi. Basti pensare che attualmente il tasso di interesse sul Btp decennale italiano, attorno ai 70 punti base, sia al minimo storico», precisa il direttore di Osservatorio Monetario. 

Resta l’unica incognita: la modalità con cui utilizzare la straordinaria dotazione di fondi messi a disposizione dai nuovi strumenti europei, «occasione storica da non perdere». Così gli autori del rapporto forniscono «alcune linee guida e indicazioni», per esempio, usare parte del Recovery Fund per potenziare la ricerca in Italia e l’istruzione di alta qualità, tra cui i dottorati. «È uno dei tanti capitoli nei quali può essere utilizzata questa enorme quantità di fondi per aumentare il potenziale di crescita del nostro Paese», osserva il professor Baglioni.

Tuttavia, non può diventare il Recovery Fund una specie di «assalto alla diligenza», dove ogni ministero butta dentro tutte le richieste. «Bisogna uscire dalla genericità delle linee-guida e individuare progetti precisi, nonché monitorarne la realizzazione. Cruciale sarà la governance dei processi decisionali: meglio accentrare il controllo presso una unica autorità piuttosto che disperdere le responsabilità. Un ostacolo da superare sarà la proverbiale complicazione e lentezza della pubblica amministrazione nostrana», chiarisce il professor Baglioni. «Il governo francese, per esempio, ha elaborato progetti affidandosi all’approccio top-down, ossia partendo dalle priorità. In Italia finora si è tendenzialmente fatto l’opposto ricorrendo a una logica bottom-up per raccogliere istanze dal basso. Ma se si va avanti così si finirà per distribuire fondi a pioggia senza cambiare niente».