di Vera Brunelli *

Valorizzare ogni singola cosa che si possiede e ogni singolo incontro: è lo spirito con cui ho intrapreso la mia esperienza di volontariato in Uganda. Nel nostro Paese pochi si accorgono di come ci stiamo arricchendo di culture che richiedono di essere riconosciute e valorizzate. In questo un compito importante lo riveste la scuola: essendo una “terra di confine”, dunque ricca di risorse, dovrebbe cogliere ogni occasione per educare fin da piccoli al confronto con l’Altro. 

Tra le esperienze più importanti di questo viaggio, ricordo quando noi volontari italiani siamo stati invitati a interrare delle piccole piantine nel giardino della scuola: è stato un momento importante perché, oltre ad aver lasciato la nostra impronta, sapevamo che anche dentro di noi stavamo seminando qualcosa.

Un seme che ci è stato regalato dal Charity Work Program, dall’Associazione Italia Uganda Onlus, ma soprattutto dalla gente che ci ha accolte a braccia aperte in Africa. A noi volontarie è stata data la possibilità di conoscere le loro realtà, anche quelle più dure. Abbiamo visitato una delle zone più povere del paese, dove molti degli alunni conosciuti a scuola vivono ogni giorno: le case con una sola stanza, dove i materassi durante il giorno vengono legati al soffitto per guadagnare qualche metro di spazio, la mancanza di corrente elettrica, il difficile accesso all’acqua potabile e ai medicinali sono stati elementi che hanno suscitato in me molte domande, alle quali non si può rispondere solo con la parola povertà.

Per quattro settimane io, Giulia e Sara abbiamo vissuto la maggior parte delle nostre giornate all’interno di una scuola e, frequentando il corso di studi di Scienze della formazione primaria, questo progetto è stato per me un banco di prova. 

Per le prime tre settimane abbiamo partecipato alle lezioni e assistito gli insegnanti durante la somministrazione degli esami, mentre l’ultima settimana avremmo dovuto realizzare nelle classi i progetti abbozzati in Italia. Ma le aspettative prima della partenza erano diverse. 

Durante la mia prima lezione mi sono infatti trovata in una realtà scolastica molto diversa rispetto a quella italiana: in una classe spoglia di materiali e spunti, avevo di fronte a me 80 alunni con delle aspettative grandi tanto quanto la lavagna nera alle mie spalle che occupava quasi tutta la parete. 

È stato questo il momento in cui ho pensato al vero compito di un’insegnante: non importa quante risorse tu abbia, l’importante è essere consapevole che con te ci sono delle bambine e dei bambini, seduti l’uno vicino all’altro, con in mano una matita quasi finita e un piccolo foglio di carta stropicciato, impazienti di imparare qualcosa. Quello che ci ha accomunati è stata proprio la voglia di scoprire. Penso di non aver mai riempito di scritte quella lavagna, come invece un insegnante è solito fare: ho abbandonato l’amico fidato di tutti i docenti, e mi sono seduta accanto a loro, il mio obiettivo non era più quello di insegnare loro qualcosa, ma di conoscerci.                                                               

Questa novità ha colpito loro ma ha stupito anche me. A partire dalla loro creatività: dove spesso vedevo la mancanza di risorse loro riuscivano a trovare sempre il lato positivo. Ricordo quando, durante una pausa dalle lezioni, ho visto alcuni bambini giocare con le fascette di plastica, quelle attaccate attorno alle bottiglie: le usavano come macchinine e facevano a gara a chi, con il soffio, le faceva rotolare più lontano; oppure quando ho mostrato ad alcuni bambini una tavolozza di colori ad acquerello e loro nonostante fossero in 20, hanno preso un foglio e hanno iniziato a colorare usando le proprie dita, non preoccupandosi di non avere un pennello. 

Lì inizialmente guardavo la realtà con occhio critico, come spesso accade di fare qui in Italia, ma, con il tempo, i rapporti che ho instaurato mi hanno permesso di valorizzare anche le piccole cose, di guardare gli altri e certe situazioni come delle risorse: credo sia questa l’impronta che queste persone hanno lasciato in me, un seme che ora sta lentamente germogliando. 

* 21 anni, di Lumezzane (Bs), studentessa al quarto anno del corso di laurea a ciclo unico in Scienze della formazione primaria, facoltà di Scienze della formazione, campus di Brescia