La salute degli italiani, sebbene ancora resiliente agli effetti di cattivi stili di vita e ritardi in prevenzione, è a rischio. Nel nostro Paese, “complice” anche l’invecchiamento della popolazione, sono in aumento le malattie croniche, che riguardano quasi 4 italiani su 10 (fonte Istat 2016) pari a circa 23,6 milioni, e che “succhiano” molte risorse al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn).

Infatti, ai malati cronici sono destinate gran parte delle ricette per farmaci e sono loro che affollano più spesso le sale d’attesa degli studi dei medici di famiglia: analizzando le principali patologie croniche (ossia: ipertensione arteriosa, ictus ischemico, malattie ischemiche del cuore, scompenso cardiaco congestizio, diabete mellito tipo 2, BPCO, asma bronchiale, osteoartrosi, disturbi tiroidei - con l’eccezione dei tumori tiroidei) emerge che, nel 2015, il 23,7% dei pazienti adulti in carico alla Medicina Generale (249.887 pazienti su un totale di 1.054.376 soggetti) presentava contemporaneamente due o più condizioni croniche tra quelle prima elencate.

Questo dato mostra un trend in preoccupante crescita, salendo dal 21,9% nel 2011 al 23,7% nel 2015. Inoltre, nel 2015 il 72,1% delle persone con almeno 2 patologie croniche concomitanti risulta essere in politerapia farmacologica, ossia assume quotidianamente 5 o più farmaci differenti. Infine, i pazienti con multicronicità, nel 2015, hanno generato il 55% dei contatti (ovvero tutte le visite in ambulatorio che terminano con la registrazione di una diagnosi, di una prescrizione farmaceutica, di una indagine diagnostico-strumentale e/o di qualunque altro intervento che il Medico di Medicina Generale-Mmg registra nella cartella clinica informatizzata) con i Mmg.

Le malattie croniche riflettono anche i divari sociali del Paese: un esempio su tutti è la prevalenza di cronicità che nella classe di età 25-44 anni ammonta al 4%, ma mentre tra i laureati è del 3,4%, nella popolazione con il livello di istruzione più basso e pari al 5,7%.

Dallo scenario delle cronicità dipende molto anche il futuro stesso della sostenibilità del Ssn, messo già a dura prova da forti difficoltà economiche legate ai vincoli di bilancio imposti all’intero settore pubblico per il rispetto delle regole del Trattato di Maastricht e, successivamente, alla crisi economica dell’Unione Europea e di gran parte dei Paesi occidentali. A questa congiuntura sfavorevole si è aggiunta una forte pressione sul sistema, determinata dall’aumento della domanda di assistenza sanitaria dovuto all’invecchiamento della popolazione, purtroppo non sempre in buona salute, e dai costi di produzione determinati anche dall’innovazione scientifica e tecnologica molto forte nel settore della sanità.

Purtroppo il Rapporto Osservasalute 2016 evidenzia importanti e crescenti divari territoriali con il gradiente Nord-Sud; gli squilibri sono notevoli rispetto alle risorse disponibili (per esempio la spesa sanitaria pro capite, che si attesta mediamente a 1.838€, è molto più elevata nella Provincia autonoma di Bolzano - 2.255€ - e decisamente inferiore nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria - 1.725€). Questi divari si riflettono sulle condizioni di salute e sull’aspettativa di vita dei cittadini italiani di Nord, Centro e Sud Italia a vantaggio degli abitanti delle prime due zone del Paese.

Rispetto alle condizioni di salute, le diseguaglianze territoriali sono evidenti. Per fare alcuni esempi: nel 2015, in Italia, ogni cittadino può sperare di vivere, mediamente, 82,3 anni (uomini 80,1; donne 84,6); nella Provincia autonoma di Trento la sopravvivenza sale a 83,5 anni (uomini 81,2; donne 85,8), mentre un cittadino che risiede in Campania ha un'aspettativa di vita di soli 80,5 anni (uomini 78,3; donne 82,8).

Inoltre, il Mezzogiorno resta indietro anche sul fronte della riduzione della mortalità; infatti negli ultimi 15 anni questa è diminuita in tutto il Paese, ma tale riduzione, soprattutto per gli uomini, non ha interessato tutte le regioni: è stata del 27% al Nord, del 22% al Centro e del 20% al Sud ed Isole.

E ancora, analizzando la mortalità sotto i 70 anni, considerata dall’Organizzazione Mondiale della Salute (Oms) un indicatore dell’efficacia dei sistemi sanitari, si osserva che i divari territoriali non solo sono persistenti, ma seguono un trend in crescita.

Infatti, dal 1995 al 2013, rispetto alla media nazionale nel Nord la mortalità sotto i 70 anni è in diminuzione in quasi tutte le regioni (fanno eccezione la PA di Trento e la Liguria); nelle regioni del Centro essa si mantiene sotto il valore nazionale con un trend per lo più stazionario (a eccezione del Lazio dove la mortalità è aumentata); nelle regioni del Mezzogiorno il trend è in sensibile aumento, facendo perdere ai cittadini di questa area del Paese i guadagni maturati nell’immediato dopoguerra.

Le evidenti disparità di salute potrebbero anche essere una conseguenza delle politiche e delle scelte allocative delle regioni: per esempio, gli screening oncologici coprono la quasi totalità della popolazione in Lombardia, ma appena il 30% dei residenti in Calabria. La carenza di risorse, comunque, non basta a spiegare le differenze tra Nord-Sud ed Isole del nostro Paese; infatti, osservando l’indicatore sulle risorse disponibili in termini di finanziamento pro capite emerge che molte regioni del Nord migliorano la loro performance senza aumentare la spesa. Per contro, alcune regioni del Mezzogiorno, alle quali si aggiunge il Lazio, peggiorano la performance pur aumentando le risorse disponibili rispetto al dato nazionale.