«I cittadini, finché poterono gli resistettero accanitamente; ma la feroce fame, compagna dei grandi mali, sufficiente a domare, dentro le mura delle fortezze, senza altra lotta, guerrieri indomiti di guerra, reclamò l’ingresso del nemico […]. Costretti dunque alla penuria di viveri e fiduciosi che la città non sarebbe stata distrutta dall’imperatore, i cittadini consegnarono sé e la loro città a Dio e all’imperatore. Egli rase al suolo l’altissimo muro della città insieme con gli edifici e per cinque anni di seguito gravò crudelmente le spalle dei cittadini». Così, nel 1288 nel suo De magnalibus Mediolani, il terziario umiliato Bovesin della Riva descriveva la tenace resistenza della sua città, stretta d’assedio nel 1162, e la drammatica resa nelle mani dell’imperatore tedesco Federico I Barbarossa. La distruzione di Milano, compiuta dall’esercito imperiale insieme ai contingenti militari di numerose città dell’Italia settentrionale e alle milizie dei marchesi Malaspina e del Monferrato, rappresenta senza dubbio una pagina importante della storia politica e militare italiana del XII secolo.
Ciò che la rende degna di nota, tuttavia, non è semplicemente il suo posto rilevante nella storia evenemenziale dell’Italia comunale, ma il fatto di poter essere annoverata a buon diritto fra quelle res gestae capaci di marcare in modo significativo la memoria storica e, in senso più ampio, culturale di una comunità civica. Insieme ad altri due eventi coevi anch’essi carichi di una forte valenza simbolica – vale a dire il ritorno dei milanesi in città e la ricostruzione di quest’ultima sotto la guida dell’arcivescovo Galdino e la celebre vittoria della Lega Lombarda nella battaglia di Legnano del 1176 – la distruzione di Milano si propone agli occhi dello storico come ciò che Pierre Nora definirebbe un lieu de mémoire: uno spazio materiale, simbolico e funzionale insieme, definito dall’emblematicità di un avvenimento, di un personaggio o di un oggetto storicamente determinati, in grado di segnare la memoria collettiva di una comunità locale, regionale o addirittura nazionale. In esso storia e memoria interagiscono insieme dando vita a un’autocoscienza identitaria sempre in fieri.
Dalla storia dunque si passa a quella che Jan Assmann ha chiamato “mnemostoria”: la storia del ricordo. In effetti un luogo della memoria è anche luogo di storia, capace di arrestare l’inevitabile processo che conduce ogni trama del tempo all’oblio, «d’immortaliser la mort, de matérialiser l’immatériel». Nel caso specifico, la distruzione di Milano già nel medioevo diventò un laboratorio creativo di memoria e identità. L’assimilazione dell’imperatore con il nemico negli anni a ridosso dell’accaduto contribuì a creare una solida base retorica e ideologica volta a sostenere le tendenze autonomistiche ambrosiane.
Nel corso dei secoli poi l’immagine della distruzione della città e del suo promotore riaffiorano assumendo significati diversi adattandosi al contesto storico-politico e culturale in cui fu utilizzata. Se da una parte ciò alimentò una vivace memoria storica del Barbarossa, allo stesso tempo favorì la decostruzione della storicità della sua figura. Così, l’imperatore «che non è mai morto», secondo la felice locuzione del poeta tedesco Friedrich Rückert, incarnò, per i milanesi in primis e gli italiani poi, l’avversario che di volta in volta giungeva alle porte per stravolgere la vita della comunità limitandone l’autonomia politica e quindi la libertà tout court: l’immagine dello straniero invasore che dominò l’epoca risorgimentale – si pensi agli scritti di Silvio Pellico, Cesare Balbo, Giovanni Berchet o al celebre libretto operistico La battaglia di Legnano musicato da Giuseppe Verdi nel 1849 sino alla Storia della Lega lombarda di Luigi Tosti, manifesto del neoguelfismo della metà del XIX secolo – o quella del nemico prussiano e poi nazista nei periodi post-bellici del XX secolo. Anche le diverse espressioni artistiche in ambito milanese hanno trovato in questo luogo della memoria un motivo d’ispirazione: dai fregi della Porta Romana fatta edificare nel 1171, segno della ricostruzione dopo la caduta, sino ai portali del Duomo ideati tra le due guerre mondiali o al trittico dedicato alla battaglia di Legnano dal pittore ferrarese, ma milanese di adozione, Gaetano Previati.
In tale focus consiste per la Milano di oggi il valore di una riflessione come quella proposta. Non esiste infatti possibilità di riconoscere la propria identità personale e comunitaria e comprendere i vettori culturali attraverso cui essa è stata trasmessa e si è radicata nei secoli senza attingere alla propria memoria storica. Quest’ultima, tuttavia, non è mai un dato immobile ma è una costruzione continua che, pur alimentandosi di fatti storici, è capace di generare nel tempo stratificazioni anamnetiche diverse: spesso i medesimi avvenimenti – come, ad esempio, la distruzione di una città e il rapporto con un nemico specifico e storicamente definito – sono rievocati alimentando una “nuova” memoria e favorendo, di conseguenza, la costruzione di identità “nuove” o, almeno, più complesse.