Una Prima della Prima nel segno di Wagner. Un’aula magna gremita ha ospitato l’intervento di Daniel Barenboim che anche quest’anno è tornato in Ateneo per presentare l’opera prescelta per aprire la stagione del Teatro alla Scala, il Lohengrin.
Barenboim, che del massimo teatro milanese è direttore musicale, sarà anche il direttore d’orchestra di questa opera che è considerata a metà nella produzione del compositore tedesco, perché da un lato ancora legata ad alcuni canoni tipici dell’opera, e dall’altro lato inizia a presentare qualche nucleo di quelle che saranno le grandi idee rivoluzionarie della sua musica, come la melodia continua e il leitmotiv. Dopo l’introduzione di Paola Fandella , docente della facoltà di Economia e curatrice dell’evento, il maestro è stato incalzato dal musicologo e docente della Cattolica Enrico Girardi e ha analizzato l’opera, definendola «armonicamente e ritmicamente meno complessa delle altre», e ricordando poi in modo scherzoso che è «tutta in La maggiore e in 4/4!» tirando poi una stoccata ai musicisti che si appellano alla ricostruzione filologica a tutti i costi, al punto di non capire e non contestualizzare le condizioni storiche delle prime rappresentazioni.
La trama, questa sì abbastanza complessa, si ispira alla mitologia tedesca e si incentra sulla figura di Lohengrin, figlio di uno dei custodi del Santo Graal, Parsifal, e di Elsa, che lo ama ma promette di non chiedergli mai il nome. Quando Elsa, stuzzicata dalla coppia “malvagia” della storia, Ortund e Telramund, chiede a Lohengrin chi sia, rompe la promessa e vede allontanarsi l’amato su di un cigno.
Ma l’intervento di Barenboim non si è limitato ai temi strettamente musicali. Padrone completo della scena anche senza un’orchestra da dirigere, il maestro ha toccato diversi argomenti, dalla questione del voto all’Onu sulla Palestina alla polemica sulla scelta di un titolo wagneriano per l’apertura della stagione («aspetti pubblicitari inutili e non necessari») a causa della concomitanza con il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Molti infatti si sono chiesti come mai il teatro alla Scala, che con Verdi aveva un legame particolare, abbia deciso di aprire la stagione con un altro compositore che, storicamente, gli è sempre stato agli antipodi. Barenboim ha definito “fascismo culturale” quella concezione per cui una nazione inizia a pensare che la propria storia culturale sia migliore di quella degli altri.
Il maestro si è poi soffermato sulla funzione dell’orecchio e dell’educazione musicale nelle scuole che viene assolutamente trascurata in una nazione come l’Italia in cui c’è poca considerazione per la cultura tanto che vengono fatti continui tagli da parte dello Stato, al contrario della Germania che ultimamente ha approvato un milione e mezzo in più a favore delle iniziative culturali: «Perché – ha aggiunto - con la musica e dalla musica si impara a pensare».
Per l’occasione, oltre alla prima della Scala, è stato presentato anche l’ultimo libro del direttore argentino, La musica è un tutto. Etica ed estetica, curato dal professor Girardi. In chiusura Barenboim non si è poi sottratto alle domande del pubblico che ha posto al maestro tantissime domande a cui Barenboim ha risposto, tra un bicchiere e l’altro di succo di mela, con il suo consueto stile arguto e divertente.