Attraversare i chiostri in carrozzina o con gli occhi bendati. È questo che ha sperimentato chi ha partecipato all’iniziativa «Mettiti nei miei panni» promossa dal Servizio integrazione studenti con disabilità e studenti con dislessia dell’Università Cattolica. Questo servizio è nato nel 1999 per «permettere agli studenti disabili di affrontare il percorso universitario nel modo più agevole possibile», spiega la pedagogista consulente Mara Cabrini. Oggi, nella sede di Milano, su un totale di circa 27 mila studenti iscritti per l’anno accademico 2011/2012, i disabili sono 269: nello specifico, 66 presentano disabilità motoria, 46 sensoriale e 157 tra loro sono affetti da altre patologie, tra cui la dislessia. «Noi facciamo molto per loro – continua la pedagogista - ma tutta la comunità deve partecipare».
L’intera giornata, dedicata alla sensibilizzazione sulla disabilità, consiste nel provare esperienze dirette di limitazione motoria e visiva con l’accompagnamento di volontari e studenti disabili. «La prima edizione si è svolta l’anno scorso – racconta Ilaria Folci, pedagogista che si occupa del servizio – ed è nata da un’idea di formazione con i volontari del servizio civile».
I corridoi, i cortili e le scale di largo Gemelli sono stati così percepiti dagli oltre cento partecipanti in un modo completamente nuovo: tutte le proporzioni cambiano quando si osserva la realtà da un punto più basso o si è costretti a concentrarsi su ciò che avvertono gli altri sensi se si è privati della vista. Gli obiettivi di questi percorsi sono due: comprendere l’esperienza degli studenti con disabilità e capire come poter interagire in modo adeguato. «L’integrazione è semplice – commenta Mara Cabrini – bastano dei piccoli accorgimenti».
Ma prima di “mettersi nei loro panni”, si è dovuto compilare un questionario sulla disabilità. «Lo scopo – dichiara Ilaria Folci – è rendersi conto che non si sa nulla di queste problematiche anche a livello statistico». L’iniziativa è stata accolta dal pubblico in maniera molto positiva, oltre ogni aspettativa. «Forse qualcosa sta cambiando», confida la Folci. Il merito è anche degli stessi ragazzi disabili che hanno pubblicizzato la giornata facendo volantinaggio o passaparola sui social network, che si sono messi in gioco e si sono rivelati guide entusiaste.
Arianna Carandina, studentessa ventitreenne di Scienze Linguistiche e volontaria, confessa: «Questa giornata è stata l’occasione per spiegare alle persone “normodotate” che si può imparare molto da questi colleghi». Sono, infatti, in programma anche alcuni focus group per rielaborare le sensazioni provate in questa occasione. «Lo scorso 11 maggio ci siamo accorti che l’impatto emotivo era stato forte, - dichiara Mara Cabrini -; però bisogna riflettere su quanto accaduto per abbattere il pregiudizio del disabile come non autonomo, triste e sfortunato».
Alissa Peron, laureata ventiduenne in Lettere antiche e studentessa della magistrale, non vedente dalla nascita e guida nel percorso a limitazione visiva, afferma: «Non voglio che le persone ci definiscano “poveri ciechi”. In molti credono che a noi manchino i riferimenti, ma non è così. È vero che quello che si percepisce con gli occhi rappresenta l’80% dell’esperienza dei sensi e che ci sono delle difficoltà. Tuttavia, grazie a tre anni di accompagnamento del servizio integrazione, ora sono indipendente».
Luigi D’Alonzo, docente di Pedagogia speciale e delegato del rettore per l’integrazione degli studenti disabili, usa una metafora calzante: «La vita è fatta per incontrare gli altri, non per rimanere isolati. I ragazzi con disabilità non sono isole. Siamo tutti attaccati alla terra ferma, anche se con modalità differenti». E sul foglio con le risposte al questionario si legge proprio questa frase di Marcel Proust: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi».