Nel Caucaso, che sale alle cronache solo quando scoppiano conflitti, la situazione è esplosiva e potrebbe creare una destabilizzazione dell'intera regione, con due attori pronti a giocare le loro carte, Russia e Turchia. Nel totale disinteresse della politica estera americana. Pubblichiamo l'analisi che il professor Riccardo Redaelli ha scritto per il quotidiano La Stampa


di Riccardo Redaelli *

Niente di strano se le bombe lasciate ad arrugginire nell’incuria prima o poi esplodono. Questo è vero anche, e forse soprattutto, per le dinamiche geopolitiche internazionali. Come nel caso della ripresa del conflitto fra Armenia e Azerbaijan per l’incancrenita questione del Nagorno-Karabacach, un frutto avvelenato – e ve ne sono tanti nel Caucaso Centrale – lasciato dalla politica staliniana di creare confini assurdi fra le allora repubbliche socialiste sovietiche per aizzare le tensioni e rendere fondamentale il ruolo di mediatore del partito comunista.

Come noto, all’indomani dell’implosione dell’Unione Sovietica, negli anni ’90, i due Paesi combatterono a lungo, dimostrando entrambi un’intransigenza e un’aggressività al limite dell’ossessivo. Poi una lunga stasi, inframezzata da piccole scaramucce, senza che il sistema internazionale si impegnasse per trasformare l’assenza del conflitto in una pace che rimuovesse le ragioni dello scontro. Ora l’Armenia cristiana e l’Azerbaijan sciita tornano a combattersi per questa enclave, a causa di un deliberato attacco militare azero su vasta scala.

 

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* Docente di Geopolitica, Facoltà di Scienze politiche e sociali.
Director of the Center for Research on the Southern
System and  the Wider Mediterranean (CRiSSMA)

Director of the Master in Middle Eastern Studies Graduate School in Economics and International Relations (ASERI)