Tempo di austerity: anche la Difesa è costretta a fare i conti con la riduzione delle risorse imposta dalla crisi economica. È il cosiddetto modello della “smart defence” (difesa intelligente), elaborato dall’Alleanza Atlantica, per rispondere alle minacce alla sicurezza comune in un’ottica di razionalizzazione delle capacità a disposizione. A fare il punto sull’annoso problema dei bilanci delle Forze Armate è stato l’incontro del 12 novembre intitolato “Le spese militari in tempo di crisi: la Smart Defence”, che rientra nell’ormai tradizionale ciclo di convegni di studio sulla sicurezza internazionale promosso congiuntamente dal dipartimento di Scienze politiche con il patrocinio della Divisione Diplomazia pubblica della Nato. Un dibattito a più voci, cui hanno preso parte accademici, studiosi, esperti, diplomatici e militari, che ha fornito numerosi spunti di riflessione anche in vista del Consiglio europeo di fine dicembre dedicato proprio alla politica di sicurezza continentale.

«Il tema dei bilanci alla Difesa è stato sempre centrale nella storia della Nato», ha ricordato nel suo intervento introduttivo Massimo de Leonardis, direttore del dipartimento di Scienze politiche e docente di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali. «Il tema che trattiamo è tanto più di attualità nel momento presente, nel quale, da un lato, la crisi economica generalizzata, dall’altro, il relativo disimpegno americano dall’Europa, per la priorità strategica di altre aree geopolitiche, impongono agli Stati europei dell’Alleanza, e quindi alla Ue, alla quale appartengono molti di essi, scelte fondamentali - ha detto il professor de Leonardis -. Ecco allora la formula della smart defence: in campo militare, come in quello civile, si cerca di fare meglio con meno risorse».

Intanto, gli effetti della diminuzione dei budget per la Difesa si fanno sentire. Nel 2006, i membri dell’Alleanza hanno ribadito l’impegno a spendere per la difesa il 2% del loro Pil. Tuttavia nel 2012 solo quattro Stati su 28 – Estonia, Grecia, Regno Unito e Stati Uniti – hanno mantenuto fede a tale impegno. Così gli Stati Uniti, che pure, dopo i grossi aumenti successivi al 2001, stanno ora riducendo il loro bilancio della Difesa, finanziano tuttora il 75% delle spese militari della Nato, rispetto al 63% di dodici anni fa. Non solo la spesa media per ogni soldato americano supera i 100mila euro contro i 20mila spesi dalla Ue; sempre negli States, gli investimenti destinati alla ricerca e sviluppo ammontano a una percentuale del 17% rispetto al 3% europeo. In questa prospettiva di spending review, l’obiettivo è fare meglio con meno risorse, lanciando programmi per razionalizzare le risorse militari, favorire la specializzazione dei ruoli e incoraggiare la cooperazione internazionale. Ne è convinto il generale Silvano Frigerio, vice capo reparto dello Smd, che ha aggiunto: «Nuove capacità di grande portata raggiungibili solo attivando sinergie».

Restano, però, molte perplessità riguardo all’adozione di un modello di “smart defence”: sia di carattere politico, se si tocca la questione spinosa del trasferimento della sovranità nazionale; sia economico, se si guarda alle ricadute che le spese militari possono avere sul sistema produttivo. Un aspetto, quest’ultimo, affrontato dal generale Carlo Jean, docente di Geopolitica, Link Campus-Università di Malta e presidente del Centro studi di geopolitica economica. «Le opinioni sugli effetti economici delle spese militari sono discordi - ha detto il generale Jean -. Tutti gli studiosi, però, concordano su due punti. Il primo, è che la stabilità prodotta dalle forze armate favorisce la crescita economica; il secondo, che le spese del procurement militare e, in particolare, quelle di ricerca e sviluppo, hanno ricadute sulle produzioni commerciali variabili a seconda delle circostanze».

Secondo Fabrizio W. Luciolli, segretario generale del Comitato Atlantico Italiano, esiste tra Stati Uniti e Ue una «discrasia» nella quota degli investimenti per la Difesa. Basti pensare che gli Usa, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, hanno incrementato di circa 14 punti percentuale il budget destinato al settore. Un gap che potrebbe generare reazioni a catena pericolose. «Ecco perché il 2014 offre un’opportunità preziosa - ha rimarcato Luciolli -. Sarà l’anno in cui Unione europea e Nato rinnoveranno i propri assetti e le proprie leadership. Un’occasione imperdibile per le due istituzioni per rimettere in discussione le rispettive strategie politiche».