Prima di sfogliare una monografia su Marino Marini in una biblioteca di Yamagata in Giappone, Kengiro Azuma era deciso a perfezionare la sua formazione da scultore a Parigi. Ma dopo aver visto i cavalli dell’artista milanese il richiamo dell’Italia e dell’uomo ormai eletto a maestro si fa irresistibile. È così che nel 1956 il giovane Azuma – oggi ottantacinquenne – arriva a Milano con una borsa di studio per seguire i corsi dell'Accademia di Brera. «Alla fine del primo anno – racconta lo scultore – mi resi conto di non aver imparato molto e decisi di restare altri quattro anni. Dopo di allora non sono più andato via: tornare in Giappone significava smettere di lavorare. La lontananza dal mio Paese e il desiderio d’Oriente hanno alimentato e condizionato la mia arte».
Da alunno di Marino, Kengiro ne diventa presto assistente a Brera e di lì a poco avvia una carriera autonoma, incitato dal suo stesso maestro a riscoprire le radici orientali e a farne la base delle sue creazioni. Ma più che il tratto giapponese l’essenza dell’arte di Azuma diventa una felice commistione tra filosofia zen e motivi occidentali. La capacità di saldare elementi estetici e spirituali, gli permettono, pur da non credente, di approcciare presto anche i temi cristiani. La “Folgorazione di Saulo”, la scultura realizzata per la mostra romana del 1977 dedicata a San Paolo è uno dei lavori più amati dall’artista. «Nonostante io non sia cattolico – spiega Azuma – mi piace confrontarmi con temi della cristianità perché la spiritualità è l’essenza della mia espressione artistica».
Nello stesso filone legato alla religione si inserisce anche il “Giardino di Eva e Adamo”, l’opera in mostra nei chiostri di largo Gemelli all’interno l’itinerario artistico-spirituale “In principio…” Origine e inizio dell’universo. Bozzetto realizzato in legno, gesso e bronzo, la scultura è esemplificativa della ricerca condotta da Azuma dalla fine degli anni Sessanta a oggi, incentrata sul tentativo di dare corpo all’invisibile attraverso un’estetica essenziale e stilizzata. «Nell’opera realizzata per l’Università – dice l’artista – ho continuato a riflettere sui temi per me fondamentali: l’anima e l’unione tra polarità opposte, come in questo caso maschile e femminile, bene e male, vita e morte».
La passione di Azuma per la scultura ha origini lontane. Per generazioni nella famiglia dell’artista si era tramandata l’arte della fusione del bronzo. Un’eredità che l’artista raccoglie nella grande sapienza artigiana alla base delle sue creazioni. Ma la decisione di dedicarsi alla scultura ha radici ancora più profonde di un condizionamento familiare. «Durante la seconda guerra mondiale – ricorda Azuma – avevo deciso di sacrificarmi per la patria e l’imperatore, per questo mi arruolai come pilota kamikaze. Sono sopravvissuto solo perché la guerra finì appena prima del mio turno, ma dopo di allora vissi un anno terribile. Avevo 21 anni e mi sentivo finito, cadavere. Avevo perso la fede in tutto quello in cui credevo e in un attimo non ero più niente. Fu allora che capii che solo la scultura poteva salvarmi dandomi una nuova ragione di vita».
Il secondo momento più difficile del suo percorso, Azuma lo vive in Italia. Dopo anni passati a seguire l’insegnamento di Marini era diventato difficile staccarsi dall’influsso del maestro. «Le mie opere – racconta – finivano sempre per ricalcare il suo stile. Marino mi diceva: “Io sono etrusco ma tu sei giapponese, non mi puoi copiare”. Poi un giorno decisi di svuotare il mio studio di tutto e fu una grande lezione. Solo allora ho trovato la mia strada, allontanandomi dalla figuratività naturalistica e approdando a un’astrazione fatta di forme piene e poi svuotate».
'Il giardino di Eva e Adamo' nel catalogo della mostra "In principio" (Pdf) ( KB)