La salute del territorio italiano è malandata e trascurata, manca un’azione comune nel gestire i diversi “attacchi” mossi all’ambiente dalle varie fonti di inquinamento e l’Italia si presenta assolutamente a macchia di leopardo con Regioni virtuose per alcuni aspetti della salvaguardia ambientale, ma ancora in ritardo su altri, e Regioni, soprattutto quelle del Sud, che invece presentano un quadro complessivo davvero fosco. Il risultato è che il dissesto ambientale del Paese pesa sulla salute degli italiani e, ciò che è peggio, il suo impatto su di essa non è quantificabile perché sono carenti o mancano del tutto sistemi di rilevazione utili (centraline per esempio) dei fenomeni ambientali, nonché sistemi per monitorare e gestire i rischi per la salute umana. Un ulteriore danno potrebbe arrivare dal federalismo perché l’inquinamento non ha confini: se mancherà il coordinamento tra Regioni potrebbero essere vanificati gli effetti di politiche oculate adottate in alcune realtà locali quando in altre, limitrofe, si continua a inquinare in modo miope.

È il quadro che emerge dalla prima edizione del Rapporto Osservasalute Ambiente (2008), un'approfondita analisi dello stato di salute dell’ambiente e dei suoi riflessi sulla salute della popolazione italiana realizzata dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma ed è coordinato dal professor Walter Ricciardi [a sinistra nella foto], direttore dell’Istituto di Igiene della facoltà di Medicina e Chirurgia. Gli autori del Rapporto sono il professor Antonio Azara [a destra nella foto], dell’Istituto di Igiene e medicina preventiva dell'Università degli Studi di Sassari, e il dottor Umberto Moscato [al centro nella foto], dell'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

«Sono evidenti le differenze di performance tra Regioni nell’affrontare il rischio ambientale, ancor più se si reputa quanto sia limitante, in forza della globalità di influenza delle situazioni di inquinamento, considerare il problema ambiente secondo i limiti geografici, economici e sociali delle Regioni stesse – spiega il professor Ricciardi -. In questo, il fenomeno di regionalizzazione dei processi decisionali, anche in ambito ambientale, potrebbe aumentare invece che diminuire le lacune esistenti nel coordinamento delle azioni preventive necessarie alla risoluzione dei problemi in un sistema integrato».

«Nella maggior parte dei casi – aggiunge Moscato - l'ambiente è monitorato solo per esigenza od obbligo normativo e tale monitoraggio è disconnesso rispetto a una reale conoscenza del fenomeno salute/malattia nella popolazione, visto in modo integrato, strutturato, formalizzato e condiviso. Questi problemi si amplificano e peggiorano, costituendo una grave forma di disequità, se visti sotto un'ottica di gap tra Regioni virtuose e meno virtuose, considerando che l'inquinamento è un fenomeno globale. Ad aggravare il quadro c’è il fatto che tra loro le Regioni spesso non dialogano, anche sui temi ambientali”.

Sono molteplici gli esempi della cattiva gestione dell’ambiente e della situazione totalmente frammentaria in cui non si può fare una distinzione netta tra Nord virtuoso e Sud problematico, a differenza di quanto emerso finora per la gestione della salute degli italiani nelle diverse edizioni del Rapporto Osservasalute, che hanno periodicamente fotografato un Nord che va sempre meglio e un Sud in peggioramento.

Stazioni di rilevamento della qualità dell’aria

Il numero delle stazioni utilizzate in ambito EoI ha avuto un incremento in Italia di circa il 23% nel 2006 rispetto al 2005, definendo un trend, sebbene lento, in costante aumento: 332 stazioni nel 2003, 359 nel 2004, 432 nel 2005, 533 nel 2006. L’aumento ha riguardato prevalentemente le stazioni di rilevazione dell’inquinamento da traffico (51%) e in misura minore quelle di fondo (22%) e le industriali (12%). Ma la distribuzione delle stazioni non è omogenea sul territorio nazionale e, sebbene una suddivisione netta Nord-Sud come negli scorsi anni, non sembrerebbe essere più presente, la gran parte delle stazioni di monitoraggio è distribuita comunque nell’Italia settentrionale. La distribuzione delle stazioni indica di fatto una “carenza” ed esprime l’esigenza di un maggiore e appropriato intervento coordinato degli enti preposti, con lo scopo di garantire la prevenzione, la riduzione o l’eliminazione degli agenti inquinanti, in un'ottica di valutazione integrata dello stato dell'ambiente.

Disponibilità di acqua potabile

Il Rapporto evidenzia alcune criticità: mentre alcune Regioni del Nord possono godere di risorse idriche abbondanti e regolarmente disponibili, al Sud tale disponibilità è ridotta sia in termini di precipitazioni, sia in termini di risorse utilizzabili. Infatti, se in ambito nazionale l’82,3% della popolazione dispone di acqua in quantità sufficiente, nell’Italia insulare tale percentuale viene quasi dimezzata (42,7%) e nell’Italia meridionale la percentuale di popolazione soddisfatta del fabbisogno idrico sale a un modesto 69,9%, rispetto all’87,6% dell’Italia centrale e al 97% circa dell’Italia Nord occidentale e Nord orientale. Inoltre, preoccupa, rispetto ai dati della precedente indagine svolta dall’Istat (2, 3), sia la diminuzione dell’acqua erogata (-13 litri/die pro capite), sia l’ulteriore diminuzione dell’acqua erogata rispetto all’acqua immessa in rete (-1,6%) indicatore del quantitativo di acqua dispersa in rete; si auspica, quindi, un miglioramento nella gestione degli acquedotti tale da incrementare l’efficienza nell’impiego della risorsa idrica.

Inquinamento acustico 

I dati a disposizione sull’esposizione al rumore della popolazione sono scarsi e spesso poco confrontabili a causa dell’incompleta “zonizzazione” del territorio e delle differenti tecniche di rilevamento e di elaborazione dei dati. La zonizzazione acustica è una classificazione del territorio comunale per aree che, per la loro utilizzazione, devono essere più o meno protette dal rumore prevista dalla Legge Quadro 447/1995. Rispetto agli anni precedenti, i dati mostrano un trend generale in aumento dei Comuni che hanno approvato la classificazione acustica del territorio. Pertanto, in base alla disponibilità dei dati, si può rilevare che il 31,5% dei Comuni italiani ha approvato la classificazione acustica contro un 17,4% del 2003 e un 10% del 2002. Pur in presenza di una tendenza positiva, la risposta da parte dei Comuni risulta essere ancora inadeguata e a macchia di leopardo in Italia.

Inquinamento da radon

L’esposizione a questo gas, che è cancerogeno, è un indicatore della salute dell’ambiente e delle persone. Il Rapporto mette in luce un forte ritardo delle Regioni che devono eseguire una mappatura del territorio e individuare le zone in cui il problema si presenta in modo più rilevante, dove sarà obbligatorio effettuare misure e interventi in tutti i luoghi di lavoro, anche in superficie. Una prima individuazione delle aree doveva essere effettuata entro il 31 agosto 2005, tuttavia la mancata costituzione di una speciale commissione, che avrebbe dovuto stabilire le Linee Guida per le metodologie di mappatura, porterà a un ritardo.

I rifiuti

La produzione di rifiuti urbani, in ambito nazionale, è cresciuta, in valore assoluto, di oltre 4,1 milioni di tonnellate, passando da 28,3 milioni di tonnellate nel 1999, ai 32,5 milioni di tonnellate nel 2006, registrando un tasso di crescita del 14,66%; relativamente alle macroaree geografiche, tale tasso di crescita risulta più marcato nel Centro (+21,35%) e Nord (+13,58%) rispetto al Sud (+11,83%). In particolare, nelle Regioni del Nord risiede il 45,4% della popolazione italiana che risulta produrre (nel 2006) il 44,9% dei rifiuti urbani del territorio nazionale; al Centro il 19,5% della popolazione produce il 22,6% di rifiuti urbani; al Sud, al 35,1% della popolazione corrisponde il 32,5% dei rifiuti urbani.
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, l’analisi dei dati mostra che quelli smaltiti in discarica nel 2006 ammontano a circa 17,5 milioni di tonnellate contro i 21,7 milioni di tonnellate smaltiti nel 1999, con una diminuzione percentuale che raggiunge quasi il 20% (-19,4%). Nonostante una consistente diminuzione che, dal 1999 al 2006, è passata dal 74,4% al 47,9%, lo smaltimento in discarica si conferma la forma di gestione più diffusa. Tra le Regioni che mostrano nell’intero periodo di osservazione un andamento in controtendenza, che cioè aumentano l’impiego della discarica, spicca l’Abruzzo (+18,3%) e altre cinque Regioni che mostrano incrementi compresi tra il 5 e il 10% (Sicilia, Liguria, Puglia, Molise, Lazio).
Invece, la capacità media nazionale di incenerimento ha raggiunto nel 2006 il 12,1% del totale dei rifiuti urbani, molto al di sotto della media dei principali Paesi Europei. Il panorama italiano è però estremamente differenziato con un tasso di incenerimento al Nord del 20,7%, con Regioni, come la Lombardia, dove il tasso di incenerimento ha raggiunto il 39%; l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia che presentano valori intorno al 22%. Al Centro (7,0%) e al Sud (3,9%) l’incenerimento è piuttosto basso con l’unica eccezione della Sardegna che ha raggiunto un tasso di incenerimento del 18,3% collocandosi tra le prime Regioni italiane.
La raccolta differenziata, è passata dal 13,8% del 1999 al 25,8% della produzione totale nazionale dei rifiuti urbani nel 2006, valore che, sebbene rappresenti un’ulteriore crescita rispetto agli anni precedenti, risulta ancora inferiore all’obiettivo del 35%. Tra le Regioni più virtuose che nell’intero periodo di osservazione fanno registrare gli incrementi più elevati si rileva il Trentino Alto Adige (30%), il Piemonte (25,8%), il Veneto (24,8%), la Valle d’Aosta (19%), la Sardegna (18%); modesti incrementi, invece, per Basilicata, Puglia, Sicilia e Molise, tutte comprese tra il 3 e 5%.

«Dal Rapporto appare chiaro che solo in alcuni casi, e comunque non in modo continuo e condiviso, esistono strategie integrate di azione verso i determinanti ambientali di rischio posti in relazione agli effetti sulla salute della comunità, nell’egida di una prevenzione per la salute pubblica basata su scelte chiare, scientificamente corrette e basate su dati oggettivi – commenta Walter Ricciardi -. Insufficienti se non assenti gli sudi epidemiologici “ad hoc”; mancata strutturazione di flussi informativi; ridotta sensibilità al problema integrato salute/ambiente sono tra le cause dell’impossibilità a rispondere con coerenza alle molteplici domande che sorgono in merito all’esistenza di una eventuale relazione tra impatto ambientale e rischio per la salute». Ne scaturisce, ancora una volta, un quadro nazionale altamente disomogeneo, a confermare un Paese complesso, alle prese con difficili problemi di transizione demografica, epidemiologica, culturale, economica e politico-sociale, ricco di contraddizioni dettate da punte di eccellenza a valenza internazionale, frutto di sistemi attivi e vitali, accanto a situazioni cronicamente deficitarie e, apparentemente, insanabili, conseguenza di irrazionalità nelle scelte o di mancanza di scientificità nelle soluzioni proposte.
«Se per un verso nel Rapporto si ribadisce l’esistenza di Regioni (in prevalenza nel Nord) che riescono, anche se con difficoltà e impegno di notevole entità, ad affrontare la problematica ambientale con obiettività e lungimiranza, garantendo servizi e/o sistemi di controllo adeguati in un contesto di compatibilità e di discreta soddisfazione della collettività – sottolinea il professor Ricciardi - dall’altro si presentano realtà regionali (prevalentemente al Centro e al Sud) in cui sono evidenti quadri di estrema complessità e in cui spesso la ridotta o assente coscienza ambientale si associa a una identica ridotta o assente sensibilità gestionale, organizzativa e/o amministrativa quanto assistenziale e sanitaria. Da questo punto di vista l’Italia appare a “più velocità” con un gap che tende sempre più ad ampliarsi invece che ridursi, e un sistema salute/ambiente che tende a disgregarsi più che ad armonizzare normative, decisioni e prevenzione».
«Alla luce dei dati riportati nel Rapporto – concludono gli autori Azara e Moscato -  si evidenzia come il fenomeno di regionalizzazione del sistema di assistenza sanitaria, verificatosi in Italia negli ultimi anni, si stia riproponendo anche nel contesto della prevenzione ambientale con differenti “stati di salute dell’ambiente” e, di conseguenza, della popolazione. Appare, quindi, quanto mai necessaria - per gestire al meglio le sorgenti di rischio ambientale e prevenirne il relativo impatto sulla salute - evitare una frammentazione e parcellizzazione delle risorse, dei metodi e delle modalità di intervento adottate. Inoltre, anche in relazione all’evidente “universalità” dell’inquinamento delle matrici ambientali è necessario adottare una strategia condivisa, univoca e comunicata, basata su linee di intervento semplici e soprattutto integrate».