In Italia il preoccupante aumento di pazienti con malattia renale in fase avanzata-terminale rende urgente la necessità di definire quale tipo di strategia terapeutica adottare, al fine di assicurare il miglior interesse del malato contro due possibili errori: quello di interventi eccessivamente aggressivi o, all’opposto, quello della trascuratezza-abbandono terapeutico; si rende quindi necessario individuare dei criteri etico-clinici quanto più possibile condivisi dalla comunità scientifica in grado di orientare l’approccio terapeutico-assistenziale nei singoli pazienti.

Riflettere su questo delicato aspetto della pratica medica è lo scopo del seminario Dialisi sempre? Aspetti medici ed etici dell’indicazione all’emodialisi, di mercoledì 12 maggio presso il Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma (Aula Brasca), dalle ore 14.30 alle ore 18.30.

 Nel corso del Seminario, promosso dal Servizio di Emodialisi del Gemelli (diretto dalla prof.ssa Giovanna Luciani) e dall’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma (diretto dal prof. Antonio G. Spagnolo), verrà presentata una proposta di linee-guida finalizzata a individuare in quali pazienti la gravosità complessiva del trattamento dialitico sarebbe superiori ai benefici attesi e, in questo modo, indirizzare il processo decisionale soprattutto nei casi in cui questo si presenti particolarmente complesso dal punto di vista clinico ed etico.

In sintesi, la proposta di linee-guida, dopo aver introdotto e discusso alcuni criteri decisionali (presenza di malattie concomitanti, prognosi, età, sintomi e qualità di vita, stato cognitivo), fornirà alcune raccomandazioni relative al processo decisionale che riguardano: la necessità che tale processo venga condotto all’interno di un modello relazionale di decisione condivisa (shared decision making), l’opportunità di intraprendere anche un processo di pianificazione terapeutica (advanced care planning), l’auspicabilità di una precoce presa in carico del paziente da parte del nefrologo (early referral), la possibilità di avvalersi, nelle situazioni di maggiore incertezza clinica, di trattamenti dialitici di prova (short trials), il ricorso alla consulenza di etica clinica nelle situazioni maggiormente problematiche.

“La proposta di linee-guida – spiega il bioeticista della Cattolica Spagnolo - non ha certamente la pretesa di costituire una soluzione definitiva alla complessa problematica del non inizio/sospensione della dialisi; essa costituisce, piuttosto, una proposta preliminare, che si intende sottoporre al contributo della comunità scientifica al fine di ottenere una implementazione quanto più possibile condivisa delle stesse. La proposta delle linee-guida ha soprattutto una prospettiva di etica clinica, nel senso che, almeno in questa formulazione iniziale, si intendono soprattutto richiamare gli elementi etici rilevanti nel processo decisionale clinico: infatti, l’esigenza di avere delle linee-guida scaturisce non tanto da un problema di ‘fattibilità’ tecnica, ma di ‘appropriatezza’ etica del trattamento in questione”.
Attualmente si stima che nel mondo vi siano circa 2.000.000 di pazienti affetti da insufficienza renale cronica sottoposti a trattamento dialitico. Secondo un censimento della Società Italiana di Nefrologia (2004), in Italia sono trattati circa 44.000 pazienti (170 nuovi pazienti per milione di abitanti ogni anno). Nel Lazio al 2008 erano dializzati 4409 pazienti, di cui 892 avevano iniziato la dialisi nel solo 2008. Sempre per quanto riguarda il Lazio, circa il 60% dei pazienti in trattamento ha più di 65 anni. “In questi ultimi anni – spiega la specialista del Gemelli Giovanna Luciani - si è assistito in tutto il mondo a un progressivo aumento dell’età di inizio del trattamento dialitico, spostando gradualmente l’età dei pazienti prevalenti in dialisi intorno ai 70 anni. Inoltre, sempre più spesso sono in dialisi i pazienti sopra gli 80 anni. Questo ha comportato che all'insufficienza renale si associano (o ne sono la causa) patologie molto severe come cardiopatia ischemica, diabete, ipertensione, vasculopatie polidistrettuali. Ci troviamo quindi sempre più di fronte a un paziente fragile. D’altro canto – conclude la Luciani - la tecnologia avanzata di cui disponiamo raramente rende inattuabile un trattamento dialitico: di qui la necessità di una scelta clinica che valuti il paziente nella sua complessità”.

La dialisi rappresenta una terapia sostitutiva essenziale per la sopravvivenza di tanti pazienti con insufficienza renale cronica e per le loro future prospettive, non soltanto in soggetti giovani, ma anche per pazienti anziani che, sulla base di modelli statistici previsionali e di una visione globale che tenga conto dello stato funzionale, dell’età, del numero e della severità delle malattie associate, possono essere indirizzati verso specifiche tipologie di trattamento sostitutivo (come dialisi e trapianto renale).

Diverso è il caso di pazienti, anziani o non, che presentano un grado elevato di malattie concomitanti, sia in termini numerici che di gravità, tali da rendere estremamente complessa la gestione di qualsiasi trattamento dialitico. Molto spesso, infatti, in questi casi è prevedibile che il paziente non andrà incontro a un recupero funzionale, ma la sua vita in dialisi, peraltro breve, sarà gravata da complicanze ricorrenti e innumerevoli ricoveri ospedalieri.
“Occorre dunque valutare – conclude Spagnolo - i pro e i contro di un trattamento cronico, prima di cominciare la dialisi, o nel decidere se continuarla, così come deve essere valutata la proporzionalità terapeutica di qualunque trattamento medico. Decisioni di questo tipo, che riguardano il problema del limite nella medicina tecnologica, non possono, però, gravare solo sul medico: è necessario che siano condivise con il paziente e con la famiglia affinché siano chiare le ragioni che le sottendono”.