«In un tempo in cui è troppo grande il divario tra il mondo virtuale e la vita, educare è ancora possibile». Ne è sicuro l’arcivescovo di Modena-Nonantola, monsignor Antonio Lanfranchi, ospite della sede piacentina dell’Università Cattolica nell’ambito del ciclo di incontri dedicato ai “Maestri e modelli di vita”, promosso dalla sede piacentina dell’Università Cattolica e dall’Amministrazione provinciale di Piacenza. L’alto prelato, originario di Grondone di Ferriere, ha parlato a un folto pubblico, soprattutto di studenti, introdotto dall’assessore provinciale Massimiliano Dosi e dal direttore di sede dell’università Mauro Balordi. In cabina di regia don Davide Maloberti, direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Piacenza Bobbio.

Tra il pubblico anche la prima maestra di Lanfranchi, Dina Bergamini, nell’albo degli Antonini d’Oro, incoronata per la sua attività di educatrice. E proprio sull’educazione il vescovo di origini piacentine ha incentrato il proprio intervento. La sua storia si lega a una vastissima esperienza. Una delle lauree di Lanfranchi è proprio in Scienze dell’educazione. Prima della sua missione episcopale a Modena è stato, tra le altre cose, docente di catechistica e pastorale presso lo studio teologico del Collegio Alberoni, insegnante di religione al Colombini, direttore dell’ufficio catechistico diocesano e regionale, assistente nazionale dei giovani dell’Azione Cattolica, vicario generale della diocesi di Piacenza Bobbio, con il vescovo monsignor Luciano Monari, e vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina. Riprendendo il testo della sua lettera pastorale all’arcidiocesi modenese, ha lanciato un messaggio di speranza. «Educare è possibile – ha detto – perché qualunque cultura non riuscirà mai a spegnere il desiderio di ogni persona umana, da cui si origina la sfida educativa».

Per l’arcivescovo l’educazione è un’esigenza fondamentale che coincide con quella di «far nascere il proprio io». Educare è, infatti, «formare l’uomo, cosa ben più importante che formare il professionista, e aprire alla realtà, lasciandoci guidare dalle domande del vero, del bello e del buono, ricomprese nella originaria richiesta di senso di ogni uomo. L’impegno educativo – ha detto Lanfranchi – si basa sulla gratuità di un rapporto». Servono “cuore”, “testa” e “volontà” per non soffocare la domanda vera, da cui si origina la passione. Per questo «educare è un’opera grande», a cui la società è chiamata, non già come un tutto indistinto, ma come «una sinergia tra agenzie educative». «Oggi – ha sottolineato l’arcivescovo – è importante creare convergenza tra scuole, parrocchie e famiglie, su comuni valori di fondo, rispettando le differenti modalità educative di ciascuno».

Al centro sempre la relazione educativa, in cui l’educatore è coinvolto in prima persona, in una “comunione di destino e di umanità”, che genera affezione, empatia, accettazione dell’altro per ciò che è. Questa relazione è la base della responsabilità dell’educare, che attiva la libertà (la capacità di fare scelte responsabili per noi e per gli altri) e la coscienza. La conclusione è riassumibile in una frase: «Educazione è custodia di verità e bene».