Rappresentano l’80% del totale delle imprese italiane (si stima che siano circa 2.400.000) e occupano in maniera trasversale tutti i settori dell’economia. Le imprese di famiglia costituiscono uno degli assi portanti della ricchezza nazionale con un’incidenza sul Pil totale delle imprese - che equivale a circa il 22,5 del Pil - stimabile attorno al 70%. Basti pensare che il 70% delle family business ha un fatturato che si aggira tra gli 0,5 e i 50 milioni di euro, il 20% fattura più di 50 milioni di euro, mentre il restante 10% raggiunge o supera i 100 milioni di euro di fatturato. Tuttavia, gestire un’azienda familiare e il suo patrimonio resta un compito complesso, che richiede competenze, flessibilità, adattamento, leadership, buona capacità comunicativa e relazionale. Diviene, dunque, fondamentale comprendere a fondo le dinamiche del Family Business, i suoi punti di forza e le sue criticità, anche ai fini di una buona governance che sappia affrontare in modo efficace i processi del passaggio generazionale. Proprio con l’obiettivo di riflettere su questi aspetti il Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia (Cerif), in collaborazione con l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, il 16 settembre ha organizzato “La giornata del Family Business”, un’occasione di confronto tra imprenditori di famiglia, manager, accademici e professionisti.

«Le imprese di famiglia costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana – ha osservato Claudio Devecchi, docente di Strategia e politica aziendale in Cattolica e direttore scientifico del Cerif –. Ma non va dimenticato che presentano specifiche dinamiche che le differenziano dalle imprese che familiari non sono. La nostra Associazione in seguito a un progetto di ricerca quinquennale ha identificato le 40 problematiche legate al Family Business: uno studio approfondito che consente di analizzare le cause e, quindi, individuare gli strumenti più efficaci per affrontarle».

Certo, uno dei nodi cruciali per il ciclo di vita di un’impresa di famiglia resta il passaggio generazionale visto che annualmente sono circa 66.000 le aziende che affrontano il problema. Già perché passare il testimone o inserire un manager esterno alla famiglia significa mutare il modello di business o riorganizzare l’assetto organizzativo. Secondo Fabiana Gatti dell’Università Cattolica, ciò accade perché “Famiglia” e “Impresa di famiglia” sono due sistemi legati da una dipendenza vicendevole, tali che ogni modifica in uno di essi causa il cambiamento degli altri. Per questo occorre analizzare in maniera approfondita le dinamiche che si sviluppano in seno all’impresa di famiglia, soprattutto laddove si stia pianificando o realizzando un passaggio generazionale. E se talvolta il passaggio di testimone può essere causa di problemi, viceversa, può anche trasformarsi in un’opportunità. È il caso della Berto Salotti. Qui le differenze legate al divario generazionale, ha raccontato l’amministratore delegato Filippo Berto, non sono state concepite come una “patologia tout court” da eliminare, bensì come un’occasione da cogliere grazie all’introduzione di nuovi strumenti di gestione dell’azienda, tra cui il web e il digital marketing.

Ne deriva che il passaggio generazionale va trattato con un approccio olistico, ossia multidisciplinare, che considera tutti gli aspetti – da quelli psicologici, economici, legali fino a quelli fiscali, organizzativi e civilistici – su cui impatta tale processo. Massimo Lodi, di UBI Trustee, nel suo intervento ha preso in esame gli strumenti che possono essere adottati affinché esso avvenga in maniera efficiente. Tra questi ha citato il trust, la polizza assicurativa, la successione legittima e testamentaria, la donazione, l’usufrutto, la nuda proprietà, il patto di famiglia, la holding di famiglia e le clausole statutarie/patti parasociali. Ma il processo del passaggio generazionale è strettamente legato alla gestione e all’utilizzo del patrimonio familiare e aziendale. Un aspetto toccato da Wolfram Mrowetz, amministratore delegato di Alisei SIM, il quale ha ricordato che la Pianificazione del Patrimonio Familiare ha dimensioni significative anche all’interno dell’UE: infatti è stato stimato che nei prossimi anni circa 1/3 delle imprese dovranno essere trasferite a nuovi proprietari (discendenti o esterni). Non va però dimenticato che con le suddivisioni ereditarie e le programmazioni successorie, oltre al business, al patrimonio e alle relazioni da gestire e salvaguardare, si sta affermando una nuova categoria di asset class: l’arte. A richiamare l’attenzione su questo fronte è stato Edoardo Didero, amministratore delegato di ArtNetWorth, che si è soffermato sulla descrizione di quelle figure professionali che consentono di conoscere il valore reale delle opere possedute e aumentarne il grado di liquidità.

Ma nella giornata del Family Business si è parlato anche di internazionalizzazione. A farlo tre imprenditori di famiglia: Veronica Squinzi della Mapei, Eugenio Aringhieri, rappresentante del Gruppo Dompè, e Giacomo Ponti dell’omonima impresa di famiglia. In particolare, i tre relatori hanno descritto i vantaggi che porta l’internazionalizzazione, soprattutto per le imprese attente al “made in Italy”, un’occasione di business irrinunciabile, capace di incrementare il fatturato, anche a fronte dei costi organizzativi e gestionali sostenuti per avviare il processo di espansione sui mercati esteri.