«Ormai non vedo l’ora che arrivi il mercoledì. È diventato il giorno più bello della settimana». «Io invece - dice uno studente di Economia – voglio impararlo perché penso che per un giovane imprenditore l’Africa rappresenta il futuro. Conoscere questa lingua mi permetterà di avere una marcia in più». Basterebbero le parole di questi studenti per rendere l’idea dell’entusiasmo e della soddisfazione con la quale è stata accolta l’ennesima sfida formativa dell’Università Cattolica di Milano: un corso di swahili. Attivato per la prima volta il corso sta riscuotendo grande successo come dimostrano i circa 60 ragazzi, provenienti da diverse facoltà, che hanno deciso di frequentarlo.

Parlato da oltre 50 milioni di persone lo swahili è lingua ufficiale dell’Unione Africana e di tre Stati del continente nero: Uganda, Kenya e Tanzania. Sviluppatosi come strumento di comunicazione per il commercio marittimo, questo idioma, diffuso nel tratto di costa compreso fra la Somalia e il Mozambico, consente di comunicare in modo abbastanza agevole in gran parte dell’Africa sub sahariana.

Per tutti coloro che intendono costruire il proprio futuro in Africa si tratta dunque di una lingua fondamentale. «In un corso di laurea magistrale in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo – spiega Beatrice Nicolini, docente di Storia e istituzioni dell’Africa e promotrice dell’iniziativa - era doveroso introdurre un insegnamento di questo tipo. Per questo ringrazio la facoltà che ha creduto in questa sfida. Per i nostri laureati che andranno a operare nelle Ong o negli organismi internazionali impegnati in Africa la conoscenza della lingua swahili rappresenta una competenza imprescindibile e molto richiesta dal mercato. Il corso infatti permette di imparare non solo la lingua ma anche usi e costumi delle popolazioni che la parlano. Se si vuole parlare con un vecchio di un villaggio, la persona che può dare informazioni preziose per operare sul territorio, non è sufficiente saper formulare la domanda ma è necessario anche sapere come formularla. E senza una lingua come questa non si va lontano. E noi – ricorda la professoressa Nicolini – siamo l’unica università dell’Italia settentrionale in cui si insegna lo swahili. Nel nostro Paese infatti prima del nostro l’unico corso accademico era quello dell’Orientale di Napoli».

Judith Raymond MushiTitolare del corso è Judith Mushi Raymond, originaria della Tanzania ma che da quasi sei anni lavora e insegna nel nostro Paese «anche se – ammette - è la prima volta che insegno in una università. In precedenza avevo diretto corsi in associazioni e circoli dove gli allievi di solito erano professionisti (medici, imprenditori ecc … ) che per motivi di lavoro avevano interesse a imparare questa lingua. Però non mi era mai capitato di avere una classe così numerosa».

Ma come si insegna lo swahili? «Essendo una lingua nata per facilitare le comunicazioni – spiega la professoressa Mushi - grammaticalmente è molto semplice. Non esiste, ad esempio, la distinzione fra maschile e femminile. Dal punto di vista lessicale molte parole derivano dall’inglese e, per quel che riguarda le lingue latine, c’è qualche termine di origine portoghese. Un punto di contatto con l’italiano? Sì, la pronuncia. Anche in swahili infatti le parole si leggono così come si scrivono. Inoltre - aggiunge - per facilitare l’apprendimento utilizzo alcuni elementi swahili noti ai ragazzi, come ad esempio il modo di dire Hakuna Matata ("nessun problema") che tutti conoscono grazie al cartone animato il ‘Re Leone’. Ma la cosa più importante – spiega- è che si venga a creare una sorta di empatia tra insegnante e allievi. È necessario che si stabilisca un clima positivo, che i ragazzi “entrino” in questa lingua. Per questo motivo durante le lezioni cantiamo e balliamo».

Un approccio che tra i ragazzi riscuote grande successo. Spiega Federica, studentessa di Filosofia: «Le lezioni sono interessanti e coinvolgenti. Vive. Rispecchiano in pieno lo spirito swahili. Ho deciso di frequentare questo corso – spiega – dopo aver partecipato a una missione umanitaria in Tanzania. Uno degli aspetti che più mi ha colpito di questa esperienza è l’atteggiamento accogliente, gioioso e cordiale delle persone. La lingua swahili riflette lo spirito positivo di questa gente. Per fare un esempio potrei citare un’espressione che mi ha colpita molto e che tradotta suona più o meno come “La persona sono le persone”. Molto bella. In futuro vorrei lavorare nelle grandi organizzazioni internazionali come l’Onu e occuparmi dell’Africa e penso che la conoscenza di questa lingua potrà tornarmi decisamente utile».

E allora benvenuto, anzi Karibu, in Cattolica swahili!