Una nuova idea di giustizia, lontana dall’immagine tradizionale della bilancia e più vicina al lavoro paziente della cucire. È questo il succo della conferenza “Per una giusta riconciliazione”, primo di due appuntamenti del ciclo “Legalità alla prova”, promosso dal Centro studi per l’educazione alla legalità, diretto dal professor Luciano Caimi. Un confronto a più voci tra i professori della Cattolica Luciano Eusebi, docente di diritto penale, Claudia Mazzucato, esperta di mediazione penale, Giancarlo Tamanza, psicologo, e Francesca Gioieni, direttrice del Carcere di Canton Mombello di Brescia. Secondo i relatori la bilancia che pesa delle colpe ed emette dei giudizi proporzionali ai reati commessi esprime un concetto troppo negativo. Il professor Eusebi ha evidenziato come un nuovo simbolo da abbinare al concetto di giustizia possa essere quello del “ponte”, ovvero di un sistema giudiziario che invece di rispondere con una frattura, come la pena detentiva, a un'altra frattura, cioè il reato, dovrebbe invece cercare di stabilire un dialogo, una riconciliazione tra le parti in causa, proponendo dei progetti positivi che costruiscano una nuova persona in grado di relazionarsi con la società. Solo in questo modo è possibile fare davvero prevenzione: una persona che viene aiutata a cambiare vita, a prendere coscienza degli errori che ha commesso, rafforza l’autorità della legge senza la necessità di instaurare un clima di terrore tra la popolazione.

La riflessione di Eusebi ha toccato anche altri argomenti di volta in volta enfatizzati tra l’opinione pubblica, tra cui il valore deterrente che, secondo alcuni, la pena di morte potrebbe assumere. All’interno di questo nuovo approccio della giustizia con i colpevoli di un reato, la pena capitale non si pone come un “progetto positivo” atto a recuperare la persona, e quindi non dimostra di essere il deterrente migliore. In quest’ottica, rientra anche un’immagine molto suggestiva utilizzata dalla professoressa Mazzucato: quella di una giustizia che dovrebbe usare “ago e filo” invece di isolare i detenuti all’interno delle carceri, perché un detenuto abbandonato dal sistema non diventerà un uomo migliore, che ha imparato dai suoi sbagli, ma resterà sempre lo stesso uomo pronto a ricommettere le stesse azioni, poiché non è stato rieducato. Ecco quindi che la rieducazione assume un ruolo importante all’interno del concetto di giustizia che si sta tentando di costruire.

Estremamente efficace risulta in tal senso la testimonianza di Francesca Gioieni, che ogni giorno vive la realtà carceraria e si trova a fare i conti con le necessità che la riabilitazione comporta. La situazione delle carceri in Italia non permette una piena attuazione di questi progetti, le risorse a disposizione sono davvero poche rispetto alla popolazione detenuta. Questo scenario dovrebbe quindi spingere a cercare delle soluzioni in altri territori, soluzioni che vadano oltre la pena detentiva che a oggi, in Italia, rappresenta l’unica risposta al problema. Il professor Eusebi ha citato i casi dell’Austria e della Germania, che già da anni adottano un sistema giuridico che prevede una risoluzione più snella ed efficace dei processi attraverso un percorso di mediazione, all’esterno delle aule dei tribunali, e permette il recupero del reo attraverso un processo di riconciliazione e ammissione delle proprie colpe nei riguardi della vittima. Se la giustizia italiana sarà capace di aprirsi a nuovi orizzonti potrebbero trovare una soluzione anche alcuni problemi cronici del nostro Paese: il sovraffollamento delle carceri, la lunghezza dei processi e una giustizia che sembra sempre più meno giusta.