L'università Cattolica di Milano quasi come Sidney 2000 o come Londra 2012. Se nella capitale inglese avranno luogo le prossime olimpiadi, nell’ateneo meneghino si terranno invece i prossimi Giochi mondiali interuniversitari. Cosa c’entra allora Sidney? Presto detto. All’olimpiade australiana di inizio millennio ha partecipato Elena Amato, 25 anni, ex studentessa della Cattolica - dove ha conseguito la laurea triennale e specialistica in Scienza motorie - e capitano della nazionale italiana di ginnastica ritmica proprio alle olimpiadi di Sidney 2000. È lei, insieme al suo general manager Alberto Tonghetti, la principale artefice della conquista di questo prestigioso evento che si terrà nel capoluogo lombardo dal 12 al 16 ottobre prossimi. I Campionati mondiali interuniversitari sono una manifestazione che si ripete ogni anno. Quella di Milano sarà l’undicesima edizione di un appuntamento cominciato in Belgio nel 1999 e proseguito fino a Budapest 2008. Non è la prima volta che l’evento viene affidato all’Italia: nel 2003 era infatti toccato a Roma, mentre l’anno prossimo sarà il turno di Valencia (Spagna). Il fascino e la particolarità di questi campionati sono dati dal fatto che a parteciparvi può essere chiunque: dal più forte e preparato atleta (anche professionista o semi-professionista),al dilettante. Unico requisito: essere uno studente universitario.

«L’incanto di questa manifestazione - sottolinea Elena Amato - è rappresentato dall’eliminazione di quel concetto che vede lo sport adatto solo ad una élite composta dai migliori atleti in circolazione». Niente a che vedere con le Universiadi dunque, e l’ex ginnasta azzurra tiene a precisarlo: «Alle Universiadi partecipano sì studenti universitari, ma solo quelli di un certo livello, ovvero quelli tesserati con le varie federazioni nazionali, a seconda che si tratti di calcio, basket pallavolo. I più bravi insomma, chiamati a competere in rappresentanza del proprio Paese. Per i Giochi mondiali universitari invece è diverso. Ciascuno gareggia in rappresentanza solo del proprio ateneo». Quindi è reclutato direttamente in università e non tramite una federazione nazionale. Una differenza sostanziale. Non a caso, dunque, le due manifestazioni sono organizzate da federazioni diverse: i Campionati mondiali interuniversitari dall’Ifius (Federazione internazionale per lo sport interuniversitario), nata nel 1998 e con sede ad Antwerp, in Belgio. Le Universiadi invece dalla Fisu (Federazione internazionale degli sport universitari), fondata nel 1949 e con sede sempre in Belgio, ma a Bruxelles. Durante i campionati gli unici a dover essere invece tesserati per una federazione sono gli arbitri, obbligatoriamente. Questo perché si vuole soprattutto salvaguardare la serietà e l’importanza delle competizioni. Un arbitro amatoriale e improvvisato rovinerebbe la qualità dello spettacolo. Per l’edizione del 2009 l’Ifius ha dunque stabilito che fosse la Cattolica di Milano ad ospitare i mondiali interuniversitari: l’onore e l’onere dell’organizzazione di questo evento sono andati all’Università, a Elena Amato e alla Wiusa (World Interuniversity Sport Association), associazione sportiva dilettantistica nata proprio con lo scopo di gestire l’organizzazione dei campionati e di cui la Amato è presidente. Dal 12 al 16 ottobre gli universitari giunti da ogni parte del globo gareggeranno in diverse discipline: calcio a 11 (sia maschile che femminile); calcio a 5 (solo maschi); pallavolo (sia maschile che femminile); basket (sia maschile che femminile). Da quest’anno inoltre sono state inserite due nuove discipline (non ancora ufficiali), con lo scopo di testarle per poi in futuro eventualmente inserirle nel programma. Si tratta del golf e del pitch e putt, una versione semplificata del gioco del golf, dove la differenza è data dalla lunghezza delle buche, inferiore rispetto al golf. Più semplicemente lo si può definire un tipo di golf giocato su una distanza più corta.

A Milano si sfideranno 1.500 studenti provenienti da tutti i continenti. Mancherà solo l’Oceania. Le università in campo rappresenteranno 22 nazioni diverse (ogni Paese volendo può portare più atenei): dall’Italia alla Russia (che porterà addirittura 13 università diverse), Da Panama all’Algeria, dagli Usa all’Iran. E ancora: Uruguay, Bahrain, Norvegia, Romania, solo per citarne alcune. L’elenco completo dei campi da gioco che verranno utilizzati per le competizioni sta per essere ultimato e include alcune strutture dislocate nel territorio milanese. La cerimonia di apertura avverrà lunedì 12 ottobre nell’aula Magna della Cattolica, dalle 19.30 alle 21.00. Quella di chiusura sarà venerdì 16 ottobre dalle 19.30 alle 22.30. Oltre alla Cattolica di Milano saranno altri due gli atenei italiani presenti ai campionati mondiali: l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata” e la Lliuc di Castellanza (Varese). L’ultimo (e unico) successo italiano ai mondiali interuniversitari risale al 2006, edizione di Dublino (Irlanda), ed è targato volley femminile: quell’anno l’Università degli Studi del Sannio riuscì a salire sul gradino più alto del podio. Vincere è lo scopo dei partecipanti, naturalmente. Ma nonostante il palmarès italiano ai Mondiali interuniversitari, ad oggi, non sia invidiabile, l’obiettivo principale non sembra essere quello di vedere un ateneo trionfare. Almeno non per chi sta organizzando i mondiali. Spiega Elena Amato: «Sarebbe un successo se questi Giochi passassero alla storia per la qualità, e ottenessero quindi un buon risalto. Sarebbe l’occasione per promuovere lo sport universitario». I Mondiali potrebbero essere il trampolino di lancio per nuovi campioni, oggi uno studente sconosciuto, domani magari un professionista. Come Elena Amato, appunto, che nel 2000 alle Olimipiadi di Sidney ha ottenuto un sesto posto nella ginnastica ritmica. La sua è una lunga carriera: due campionati del mondo (quarto posto) e tre campionati europei, dove ha conquistato anche una medaglia di bronzo. Inoltre per sette anni ha fatto parte della nazionale. Per competere a livello internazionale si è allenata otto ore al giorno, andanado a scuola di sera. Molti sacrifici, tante rinunce, dunque: «Ma rifarei tutto - ammette -. Il ricordo più bello? Sono due: la cerimonia d’apertura all’Olimpiade di Sidney, con la fiaccola che si accende davanti ai miei occhi. E il momento in cui ho messo il primo piede in pedana, il giorno della gara olimpica. Sono emozioni forti, immense, che ti riempiono dentro e che non si possono descrivere». Lo sport, d'altronde, è capace anche di questo.