Per difendere la sua terra natale, per strappare dai tentacoli della ‘ndrangheta la Calabria e i calabresi, Nicola Gratteri è sotto scorta dal 1989. Nel libro La malapianta, scritto a quattro mani con Antonio Nicaso, racconta di una terra che riceve soltanto le briciole degli sterminati proventi di un’organizzazione che, dalla sua “base operativa” nel cuore dell’Aspromonte, si è diffusa a macchia d’olio in tutto il Nord Italia, soprattutto in Lombardia, estendendosi fino in Sud America, dove stringe alleanze e stipula accordi economici con i “cartelli della droga”, in molti stati d’Europa – Spagna Germania e Olanda fra tutti – e persino in Africa. Secondo alcuni, la parola ‘ndrangheta deriverebbe da “andragathos” che in greco antico, che ha ancora influssi in alcune zone della costa ionica calabrese, significa uomo valoroso. Un concetto che esprime una filosofia di vita, quasi una religione per gli affiliati.

Si tratta di un fenomeno – afferma Nicaso – “a sviluppo indisturbato”: la ‘ndrangheta si è rafforzata nel silenzio, grazie anche al disinteresse dell’opinione pubblica e dei media, i cui riflettori, per tutti gli anni ’80 e ’90, sono stati incessantemente puntati sui “colleghi” siculi. Ma la vera forza della ‘ndrangheta sta nella caratteristica che la rende peculiare rispetto a tutte le altre mafie: il vincolo di sangue, abilmente corroborato da riti di affiliazione secolari a forte connotazione religiosa. Il sangue rappresenta il cemento che salda il legame di fedeltà indissolubile fra le infinite propaggini di un’organizzazione che, per quanto estesa e stratificata, è controllata, in ogni sua articolazione e per ogni sua decisione, dalle cosche calabresi, in particolar modo quelle del Reggino. Ed è proprio grazie allo stretto senso di appartenenza che questa organizzazione non viene minimamente toccata dal fenomeno dei “collaboratori di giustizia”, che invece ha tanto contribuito all’indebolimento delle altre organizzazioni criminali fondate sul vincolo associativo.

Secondo il professor Nicaso la ‘ndrangheta, a differenza di “Cosa nostra”, non nasce né si sviluppa nel latifondo, ma si radica nelle zone di concreta vivacità economica, valorizzando un intenso rapporto con la politica, indirettamente tramite prestanome, o direttamente: non dimentichiamo che sin dagli anni ’70 i rampolli delle cosche hanno deciso che era arrivato il momento di “allargare gli orizzonti”, e si sono formati nelle Università del Nord Italia o all’estero, diventando spesso affermati professionisti. Si tratta di un rapporto, quello con la politica, che viene costantemente rafforzato, e che permette alla ‘ndrangheta di tenere sotto controllo tanto ogni attività economica sul territorio quanto, soprattutto, la popolazione: la ‘ndrangheta, dice i procuratore Gratteri, «costringe la gente a chiedere».

MAFIE AL NORD

In ogni angolo della terra in cui attecchisce, la ‘ndrangheta costituisce i suoi “locali”: al Nord ve ne sono centinaia, soprattutto in Lombardia, veri e propri centri operativi di potere, attraverso cui penetra nel territorio, sfruttando connivenze politiche e inserendosi all’interno delle imprese che, fiaccate dalla crisi, vedono spesso nell’ingresso di denaro liquido, seppur di illecita provenienza, un’alternativa preferibile al fallimento. La crisi socio-economica, ma prima di tutto – come fanno notare entrambi gli autori – valoriale di questo periodo, ha permesso un ulteriore rafforzamento di tutte le mafie, ‘ndrangheta in testa: mentre gli Stati vengono strangolati dal loro stesso debito pubblico e migliaia di imprese rischiano la bancarotta, solo le mafie dispongono di capitali liquidi da investire – e quindi “riciclare” – in ogni parte del mondo e nelle attività economiche più disparate.

La ‘ndrangheta compra tutto, ma vende soprattutto droga: l’azione del procuratore Gratteri si concentra in particolar modo sul contrasto a quest’attività, l’unica capace di garantire gli introiti incalcolabili necessari per gli ingenti investimenti dell’organizzazione. Il monopolio del traffico di droga è garantito dagli accordi con i maggiori “cartelli” sudamericani, che ritengono la ‘ndrangheta un “partner commerciale” affidabile sia economicamente sia dal punto di vista della sicurezza, proprio grazie alle connivenze politiche delle quali gode, favorite dal generale decadimento morale della società e dal conseguente proliferare di fenomeni di corruzione, soprattutto nelle pubbliche amministrazioni.

‘NDRANGHETA E POLITICA

Nicola Gratteri, Gabrio Forti, Antonio NicasoLa ‘ndrangheta ha tratto grande vantaggio dagli eventi storico-politici degli ultimi decenni, sfruttando per esempio la caduta delle barriere doganali determinata dal processo d’integrazione europea ed investendo massicciamente nei territori oltrecortina, soprattutto nella ex Germania dell’Est. Secondo Gratteri, è necessario armonizzare le legislazioni penali e processuali in ambito europeo, avendo come modello di riferimento quelle italiane, senza dubbio le più evolute nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata: «Del resto - fa notare ironicamente - siamo anche l’unico Paese del mondo che ha ben quattro mafie».

Secondo gli autori di Malapianta, l’Italia deve trovare una soluzione al problema delle strutture detentive, al limite anche rimettendo in discussione la scelta fatta a suo tempo di chiudere molte carceri sulle isole. Deve inoltre garantire la certezza della pena e rafforzare il controllo sul territorio, contrastando prima di tutto ogni attività suscettibile di garantire alle mafie un ritorno economico. Più che positiva, secondo Gratteri, la recente istituzione della “Agenzia per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”.

Come si evince dal libro presentato all’Augustinianum non c’è nulla di più sbagliato di considerare la ‘ndrangheta come uno dei tanti problemi del Mezzogiorno: oggi più che mai, muovendo risorse umane ed economiche senza confini, è un problema di tutti a cui rispondere con uniformi strumenti di contrasto a livello transnazionale. Ma, secondo il procuratore e il professore, bisogna partire dal basso: il cancro mafioso deve essere colpito alle fondamenta, nel suo sistema di disvalori che attecchisce dove vacilla il sistema dei valori. Bisogna innescare un circolo virtuoso basato sull’amore per la cultura e teso alla formazione di una coscienza critica, che ci faccia diventare parte attiva della comunità civile. È il modo più concreto per sostenere l’attività di questi silenziosi servitori dello Stato che preferiscono offrire al cittadino i risultati concreti di un lavoro duro e rischioso piuttosto che frequentare i salotti della tv generalista. Uomini coraggiosi che amano la propria terra. Come Nicola Gratteri.