La mafia più ricca è anche la più nascosta. E’ la ‘ndrangheta. Lontana dai riflettori la criminalità organizzata calabrese è cresciuta, ha allungato i suoi tentacoli al Nord, fatto accordi con la malavita estera. E’ diventata potente, molto potente. Senza fare rumore. In silenzio, e nel silenzio. Perché la mafia, si sa, preferisce “operare” nell’ombra. Spara solo se strettamente necessario.

Ed è proprio per cercare di aprire un dibattito, una riflessione di più ampio respiro sul fenomeno che l’Università Cattolica ha avuto l’onore di ospitare, nell'ambito di un seminario promosso dal centro di ricerca Transcrime, Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino rispettivamente procuratore e procuratore aggiunto a Reggio Calabria. Due pubblici ministeri ai quali la ‘ndrangheta non ha fatto sconti e che come molti colleghi impegnati in prima linea nella lotta contro le mafie dopo le minacce e intimidazioni ricevute sono costretti a vivere e a muoversi sotto scorta.

«La ‘ndrangheta è un’illustre sconosciuta – ha denunciato Pignatone - anche dal punto di vista giuridico. Basti pensare che fino all’anno scorso il nome di questa organizzazione non era nemmeno presente sul codice penale. Purtroppo a livello nazionale la ‘ndrangheta è considerata un fenomeno periferico e marginale. Come la Calabria. A livello mediatico un dibattito pubblico sulla ‘ndrangheta non esiste. L’Ansa – prosegue– non ha un suo ufficio sul territorio regionale, i grandi quotidiani nazionali non hanno redazioni locali che possano fare da collante con le sedi centrali. Ogni tanto c’è qualche fiammata di interesse dovuta a grandi operazioni delle forze dell’ordine o gravi fatti di cronaca nera ma poi, passate un paio di settimane, tutto si placa. La prova? Prendete in mano un quotidiano in un giorno qualsiasi e cercate un articolo che parla di ‘ndrangheta, non lo troverete».



Pignatone si è poi soffermato sulla pervasività della ‘ndrangheta sul territorio. I dati parlano da soli: «A Rosarno, il paese dove c’è stata la strage degli extracomunitari, abbiamo 250 affiliati ‘formali’ alle varie ‘ndrine. E stiamo parlando di una cittadina di 15mila abitanti. A queste centinaia di “mafiosi ufficiali” aggiungete amici, parenti e conoscenti e avremo un’intera comunità inquinata. Per rendervi l’idea di quanto la ‘ndrangheta abbia penetrato il territorio considerate che Cosa Nostra a Bagheria, in provincia di Palermo, contava 50 affiliati formali su un territorio di circa 50mila abitanti. Il dato quantitativo in questo caso è anche qualitativo».

E non mancano gli ‘ndranghetisti eccellenti. A riguardo è Michele Prestipino a raccontare un episodio che lui stesso definisce desolante: «È successo mentre ascoltavamo, attraverso intercettazioni, i dialoghi di un potente capobastone, Giuseppe Pelle, la cui casa era diventata una sorta di confessionale per personaggi di ogni tipo, non sempre legati direttamente alla ‘ndrangheta. Un giorno in mezzo a questa sorta di processione si presenta un commercialista, un professionista importante che tra i suoi incarichi aveva, tra le altre cose, la gestione di beni confiscati alle ‘ndrine. Questo soggetto si era presentato a Pelle non per affari ma per portargli le sue credenziali e il suo rispetto».

«Un aspetto molto importante – prosegue Prestipino – è il “contratto sociale” tra mafiosi e non mafiosi. I legami tra corrotti e corruttori, la possibilità di interloquire alla pari, segna la presenza sul territorio. Un meccanismo che la ‘ndrangheta ha replicato ogni qual volta si è radicata su un territorio diverso da quello calabrese, Lombardia in primis. Non si clona solo l’apparato militare ma, soprattutto, quello burocratico-amministrativo infiltrandosi nella P.A., nella politica, nel mondo dell’imprenditoria locale. Un meccanismo che, come ha denunciato pubblicamente anche il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, influisce non solo sulla società ma è anche un grosso ostacolo che frena lo sviluppo dell’economia nazionale. I numeri parlano chiaro: la percentuale di denaro riciclato rispetto al Pil in Italia è pari al 10%, il doppio rispetto agli altri Paesi».

Una battaglia ancora lunga che ha radici profonde e che ha segnato fin dalla nascita il nostro Paese, che quest’anno celebra i 150 anni dell’unità nazionale. Come testimoniano le parole di don Luigi Sturzo, citate da Prestipino: “La mafia serve per essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti”. Parole scritte il 21 gennaio del 1900 ma che, purtroppo, risuonano ancora terribilmente attuali.