Il professor Luigi Pasinetti ( a destra) durante la presentazione del suo volume, accanto al rettore Lorenzo OrnaghiChe ne è stato delle idee innovative e rivoluzionarie sul piano della ricerca economica di John Maynard Keynes e dei suoi allievi? È questo l’interrogativo di fondo che ispira il libro Keynes e i keynesiani di Cambridge di Luigi Pasinetti, professore emerito all’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente onorario dell’International Economic Association. Pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 2007, il volume ripercorre l’evoluzione storica del pensiero del grande economista britannico e dei suoi discepoli, tra i quali, Joan Robinson, Piero Sraffa, Nicholas Kaldor e Richard Kahn. La versione italiana del libro, uscita recentemente presso la casa editrice Laterza, è stata presentata lo scorso 25 ottobre in Università Cattolica nel corso di un dibattito a più voci. Introdotti dal professor Enrico Bellino e moderati dal professor Pierpaolo Varri, sono intervenuti, alla presenza dell’autore, gli economisti Pierluigi Ciocca, docente all’Università La Sapienza di Roma e già vice direttore generale della Banca d’Italia, Paolo Leon, docente di Economia pubblica all’Università RomaTre, e Domenico Siniscalco, managing director e vicepresidente di Morgan Stanley International.

Tutti i relatori si sono trovati d’accordo su un punto: le tesi del professor Pasinetti forniscono spunti interessanti per riscoprire la teoria economica di Keynes, tornata di grande attualità all’indomani della crisi economica mondiale. D’altro canto, come ha sostenuto l’autore nella premessa alla versione italiana, «sono bastati pochi mesi perché lo scoppio inaspettato e improvviso di una devastante crisi economico-finanziaria di dimensione globale riportasse Keynes al centro delle discussioni degli esperti, degli uomini di governo e persino dei settimanali e dei quotidiani, in tutto il mondo». Eppure, a detta di Pasinetti, quella di Keynes e dei keynesiani resta una rivoluzione ancora “incompiuta”, che forse varrebbe la pena portare a termine. Un’incompiutezza indubbia, secondo Pierluigi Ciocca, se la si valuta nei termini della mancata rottura da parte degli economisti accademici nei confronti dell’approccio mainstream. Tuttavia, come è stato sottolineato dai relatori, fra economisti pratici e policy maker, questa fideistica e acritica accettazione dell’economia ortodossa è meno diffusa. Negli ultimi anni non sono stati molti i banchieri centrali che hanno agito ispirandosi alla teoria neoclassica. Tre, secondo Ciocca, i contributi di Keynes che, sulla base di quanto osservato da Pasinetti, vanno portati al centro del dibattito attuale: un’analisi profonda degli aspetti strutturali dell’economia, il principio della domanda effettiva e la gestione dei conti pubblici. Anche Paolo Leon è convinto che all’economia sia indispensabile basarsi su un “paradigma diverso” da quello attualmente diffuso, sulla scia di quanto suggerito dal volume di Pasinetti. Si tratta di un sistema di analisi rigoroso, ha sottolineato l’economista, costruito sulle teorie dei keynesiani di Cambridge e sullo schema teorico di Sraffa che, anche se non accettato dal mainstream, diventerà forte nel momento in cui ci si renderà conto che il mondo degli anni ’80-’81 è completamente chiuso.

Sulla stessa linea Domenico Siniscalco. «Qualche anno fa, leggendo la versione inglese, la terza parte del libro mi sembrava un insieme di auspici», ha ricordato il già ministro dell’Economia e delle Finanze. Da allora, ha aggiunto, il mondo è cambiato. Basti guardare gli squilibri prodotti dal processo di globalizzazione, ovvero il cosiddetto trilemma dell’economia mondiale: gli Stati Uniti che consumano troppo, i paesi asiatici che risparmiano molto e gli europei che investono poco. Senza considerare la nascita, la crescita e il crollo della speculazione creditizia. «Per questo motivo – ha affermato Siniscalco – oggi sono sempre più convinto che servono blocchi di teoria economica, come quelli enumerati da Pasinetti, necessari non solo per spiegare fenomeni quali globalizzazione e crisi finanziaria, ma anche per comprendere il “trilemma” dell’economia mondiale». Lo stesso che affligge l’economia italiana.