Luca Crovi e Valerio Massimo ManfrediUna “giornata nera”, ma non per il romanzo. “El día negro” per il settimo anno si conferma un appuntamento di grande interesse. Nato da un’idea del professor Dante Liano, l’ultima edizione si è svolta il 5 maggio nell’aula Pio XI di largo Gemelli a Milano, per iniziativa del Dipartimento di Scienze Linguistiche e Letterature straniere. Dopo l’introduzione della preside della Facoltà, Luisa Camaiora, ha moderato il dibattito Victor Andresco, direttore dell’Istituto Cervantes di Milano e scrittore «dalla brillante personalità, linguaggio raffinato e sottile ironia», per usare le parole del professor Liano.



 

Al tavolo Juan Bolea ed Eugenio Fuentes, autori spagnoli di romanzi noir e polizieschi, e Marc Pastor, professionista della polizia scientifica di Barcellona. A che punto è il noir?  - chiede subito Andresco. «Molto in forma – risponde Pastor -. La situazione di crisi è un’occasione che favorisce questo genere. Ma non bisogna confondere l’occasione con l’opportunismo di certa letteratura». Fuentes rilancia: «Spesso il noirista è descritto come lo scrittore della strada. Ma se è vero che il romanzo nero ha una componente etica di denuncia sociale, ne ha anche una estetica. È questa che manca oggi. Nessun libro finora è stato assunto a capolavoro del genere».

Juan BoleaBolea conferma il successo del noir definendolo quasi rivoluzionario, ma ci tiene a ribadire la differenza rispetto al poliziesco: «La gente fa ancora troppa confusione. La struttura classica del poliziesco è composta dall’accadimento di un crimine, dalla presenza di un detective, dall’apertura di un’inchiesta e dalla risoluzione del caso. Ancora non è presente la denuncia sociale. Agatha Christie scriveva crimini da salotto. Successivamente vengono introdotti elementi come la violenza, il sangue, il conflitto personale e psicologico, la critica sociale. Questo è il noir».

Eugenio FuentesDiverse invece le posizioni dei relatori a proposito del rapporto tra genere storico e genere noir. Se per Bolea e Fuentes i generi si conciliano, come nel caso di Doyle ed Eco, fino quasi a parlare unicamente di romanzo di genere senza distinzioni, a Fuentes l’associazione noir-storico non piace. «Questo non vuol dire che non apprezzi il genere storico o che applichi una gerarchia tra i generi. Anzi, spesso io mi dedico persino alla poesia perché mi insegna a fare una sintesi dell’essenziale».

Marc PastorAlcuni critici non fanno che ripetere periodicamente che il romanzo noir morirà. Per Pastor si tratta di un atteggiamento snobistico. Tesi supportata da Bolea: «Siamo invitati nelle università sempre più spesso. Il romanzo ha sempre influito nella vita sociale, nella democratizzazione della cultura e per questo non scomparirà mai». Un dibattito sul noir non può che includere un ragionamento sul maligno. «Il male è una possibilità che tutti abbiamo in noi e il romanzo nero è una riflessione su questa possibilità» – ha detto Pastor, mentre Bolea ha citato Thomas Mann e Dostoevskij: «I criminali sono persone normali che in determinate circostanze arrivano a compiere un delitto».

Dalla realtà, alla finzione, alla storia. Nella seconda parte della giornata è Luca Crovi, critico e conduttore radiofonico, a dialogare con Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore. “Idi di Marzo”, thriller politico di cui la storia ci ha già rivelato inevitabilmente la fine, e “La tomba di Alessandro - L’enigma”, sono tra le ultime produzioni dell’autore. Il compito dello studioso è quello di scovare nelle fonti le falsità dette e le verità nascoste un po’ come un investigatore: «La mia docente, Marta Sordi – racconta Manfredi - leggeva molto Agatha Christie. Le fonti sono sempre filtrate. Basti pensare al “De bello gallico”: Giulio Cesare che racconta Giulio Cesare. È un testimone diretto, ma con una sua visione dei fatti e di se stesso». Quando lo studioso che è anche narratore decide di inserire nel racconto elementi di fantasia? «Se ci pensiamo è nata prima la narrazione della storia. La narrazione è frutto del divario tra la vita e la mente. Ci permette di sperimentare le mille esistenze che vorremmo vivere, ma che il destino ci nega. La narrazione, però, deve essere verosimile, cioè coerente con le verità assodate. Deve essere fantastica ma allo stesso tempo credibile».