Il Covid-19 non lascia indenni neppure i tribunali. Almeno a giudicare dal rischio di accumulo delle cause pendenti. L’emergenza sanitaria ha forti ripercussioni sul sistema giudiziario, anche a seguito delle numerose disposizioni introdotte dai decreti in merito al settore della giustizia.

Prima e rilevante misura il rinvio d’ufficio delle udienze e la sospensione del decorso dei termini nei processi civili e penali fino all’undici maggio. Una data posticipata rispetto a quanto previsto nei decreti dell’8 marzo e del 17 marzo e originariamente fissata al 15 aprile. Per il professor Alessandro D’Adda, direttore del Dipartimento di Diritto privato e pubblico dell’Economia dell’Università Cattolica, le conseguenze sarebbero duplici. «Da un lato certamente il rinvio d’ufficio di molteplici incombenti processuali potrà essere ragione di un certo “affollamento” nelle attività degli uffici giudiziari a seguito della progressiva ripresa dell’attività ordinaria, tanto più che molte nuove iniziative in gestazione in queste settimane potrebbero essere avviate contestualmente, una volta venuta meno l’emergenza. A quest’ultimo riguardo, e per altro verso, nei mesi futuri è verosimile che si verificherà un contenzioso importante correlato alle sopravvenienze sui rapporti contrattuali causati da Covid-19».

«Per come sono strutturati i giudici amministrativi non temo un grande intasamento nei tribunali», commenta il professore Mauro Renna, docente di Diritto amministrativo e Diritto ambientale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo. «La giustizia amministrativa non è infatti bloccata del tutto. Un regime ad hoc è previsto per i procedimenti cautelari, sostituiti temporaneamente da provvedimenti monocratici. Dal sei al quindici aprile c’è inoltre la possibilità, su concorde volontà delle parti, di sostituire le udienze già fissate con eventuali brevi note d’udienza, mandando le cause in decisione. Da quella data al trenta giugno, l’art. 84 del decreto Cura Italia ha previsto poi che le cause vadano tutte in decisione anche senza istanza congiunta di tutte le parti».

Le limitazioni imposte dai decreti potrebbero determinare l’inizio di numerosi giudizi da parte dei cittadini. Destinatari i privati, singoli o imprese, o le pubbliche amministrazioni. «In queste settimane ci troviamo di fronte a frequenti invocazioni delle clausole di forza maggiore ovvero dei principi legali in tema di impossibilità e di eccessiva onerosità sopravvenuta, sia con riguardo ai rapporti contrattuali a esecuzione istantanea, come la consegna di merci, sia per quelli a prestazione periodica e continuativa, quali i contratti di mutuo, di locazione, etc. La richiesta è finalizzata all’interruzione del contratto o, molto più frequentemente, alla rideterminazione delle condizioni contrattuali», spiega il professor D’Adda.

La sospensione delle attività imprenditoriali decretata dal presidente del Consiglio dei ministri ha infatti determinato per alcuni imprenditori l'impossibilità di adempiere in modo puntuale alle obbligazioni precedentemente assunte o l’impossibilità di fruire delle prestazioni dedotte in contratto (si pensi ai servizi di un asilo nido). Ma anche i provvedimenti amministrativi sono oggetto di impugnazione. «I cittadini, ritenendo di avere subito dei danni patrimoniali o, viceversa, alla salute, possono impugnare ordinanze regionali o sindacali, nonché decreti governativi. I provvedimenti possono essere viziati: da incompetenza, per violazione dei decreti legge o perché alcune misure sono sproporzionate rispetto ai reali bisogni delle regioni», precisa il professor Renna.

Si può inoltre intraprendere una causa anche per il risarcimento dei danni causati da tali provvedimenti illegittimi. Una causa che viene promossa di fronte al TAR, ma rispetto alla quale si potrebbe configurare un problema. «L’azione di risarcimento del danno può essere iniziata utilmente se già da ora i provvedimenti considerati lesivi vengono impugnati. In caso contrario, mi pare difficile, in concreto, che ciò possa verificarsi successivamente e in modo slegato dal tentativo contingente di bloccarne subito gli effetti. Alcune cause sono già state promosse, ma quasi tutti i giudici che si sono pronunciati hanno negato il cautelare. Questo perché, in sede cautelare, si tiene sempre conto degli interessi prevalenti; e di fronte a un’epidemia, se un atto persegue il fine della salute pubblica, in genere resta in vigore. Si valuterà dunque successivamente, in ipotesi a fini risarcitori, se il provvedimento fosse legittimo o meno».