Occhi puntati sui test sierologici, per vedere se si è avuta o si ha in corso un’infezione da SARS-CoV-2 attraverso l’analisi anticorpale. Ancora poche – fatta eccezione per Lombardia, Emilia Romagna e Lazio e Veneto con i test rapidi – le regioni che si sono mosse in tal senso, o comunque i dati sono ancora incerti o limitati.
Sono alcune delle novità emerse dalla dodicesima puntata dell’Istant Report Covid-19 acura dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) e coordinato da Americo Cicchetti, docente di Economia aziendale nella facoltà di Economia, campus di Roma, e direttore dell’Alta Scuola. In questo numero il report si è arricchito di un’analisi della “preparedness” a livello nazionale e regionale sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Preparazione e Risposta per una Pandemia Influenzale.

Tamponi diagnostici
Per quanto riguarda la ricerca del virus attraverso i tamponi, si osserva che il trend nazionale, in diminuzione nelle scorse settimane, è tornato a risalire: rispetto alla settimana scorsa, in Italia il tasso per 100.000 abitanti è passato da 5,90 a 6,25. Il tasso settimanale più basso si registra in Sicilia (è di 2,79 tamponi per mille abitanti nell’ultima settimana); il tasso più alto si registra in Veneto (13,06 per mille abitanti), mentre il Lazio si ferma a 3,87, sotto la media nazionale. Osservando il dato dall’inizio dell’epidemia a livello nazionale il 4,79% ha ricevuto il tampone. Il valore massimo nella Valle d’Aosta con il 10,27%, il minimo in Campania (2,12%). Per il monitoraggio nella fase 2 è fondamentale il rapporto tra numero delle persone positive e il numero di persone testate nella settimana. Si passa da valori prossimi al 3% per la maggior parte delle Regioni, fino al 7% delle Marche. La Lombardia è circa al 6%, la media italiana è al 3%.

Approfondimento sui test Covid-19
I test sierologici stanno acquistando spazio nel dibattito e nelle aspettative della cittadinanza sia a causa dell’indagine di sieroprevalenza in corso promossa da Ministero della Salute, ISTAT e Croce Rossa Italiana su un campione di 150.000 cittadini sia per le differenti iniziative regionali che sono fiorite. Alcune di queste iniziative sono state incluse da alcune regioni in un approccio di sanità pubblica, ma nella maggior parte dei casi è finora mancata una chiara strategia sulla gestione dei risultati dei test. La Regione che ha subito la maggior circolazione del virus, la Lombardia, aveva effettuato al 6 giugno 173.659 test sierologici, di cui 78.838 cittadini (casi sospetti segnalati da MMG per sintomatologia influenzale gestita a casa e relativi contatti) e 94.821 operatori sanitari; di questi sono risultati positivi alle IgG (gli anticorpi che indicano che c’è stata una infezione, o anticorpi di memoria, suggerendo che il paziente è potenzialmente immunizzato) 24.218 cittadini e 12.069 operatori (rispettivamente, pari al 30,8% e al 12,7%). La platea dei destinatari dal 21 maggio è stata ampliata a tutto il personale dei servizi essenziali (prefettura, forze dell’ordine, vigili del fuoco, dipendenti dei tribunali e dell’ispettorato del lavoro, INAIL, INPS, etc.) e sono in corso iniziative parallele a quelle del SSR promosse da alcuni comuni (es. 50.000 test promossi dal Comune di Bergamo per i propri cittadini tra i 18 e i 64 anni).
La regione Emilia-Romagna ha programmato l’effettuazione di 250.000 test e, alla data dell’11 maggio (ultimo dato reso pubblico sul sito della Regione), aveva effettuato 87.216 test rapidi di cui 52.249 sul personale sociosanitario (5,5% è risultato positivo alle IGG, il 3,2% alle IGM e il 2,2% ad entrambi gli anticorpi) e 34.967 sulle forze dell’ordine e altre categorie a rischio (4,7% è risultato positivo alle IGG, 2,6% alle IGM e 1,8% ad entrambi gli anticorpi). Sono inoltre in corso circa 100.000 test CLIA/ELISA volontari sulla popolazione che ha avuto la maggior probabilità di contatto con casi COVID19 nelle province di Piacenza e Rimini nonché nella città di Medicina (in corso, no risultati).
La Regione Lazio ha effettuato al 15 giugno 108.404 test sierologici, in media nel 2.4% dei casi sono state riscontrate IgG (2% tra gli operatori sanitari, 4% nella coorte dei cittadini che hanno fatto il test a pagamento), ed è stato annunciato un programma di screening su 100.000 soggetti appartenenti al corpo docente e al personale ATA per la riapertura in sicurezza delle scuole.
La regione Veneto ha effettuato al 15 giugno circa 750.000 test sierologici rapidi (test immunocromatografico su sangue venoso capillare) su operatori sanitari e personale dei servizi essenziali di cui, tuttavia non è stato possibile trovare i risultati nella documentazione pubblicata sul sito istituzionale.
Per molte altre regioni i dati pubblicati sono o poco dettagliati o non aggiornati rendendo complesso ogni tentativo di analisi e di loro utilizzo a fini diagnostici o di ricerca. Tre regioni, Calabria, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, non hanno sdoganato i test sierologici richiamando la circolare del Ministero della Salute del 9 maggio quale supporto alla decisione presa.
    
Assistenza sanitaria per i pazienti non Covid

Si stanno moltiplicando le pubblicazioni scientifiche che presentano le prime evidenze relative all’impatto che ha avuto sull’emergenza COVID-19 sull’assistenza fornita a pazienti non-COVID-19 in Italia.
In questo rapporto particolare attenzione è dedicata alle malattie rare.
Due survey, una nazionale e una europea, si sono concentrate sulle conseguenze immediate dell’emergenza Covid-19 sull’assistenza sanitaria, e non solo, fornita ai malati con patologie rare. Si è deciso di considerare entrambe le fonti in quanto complementari. L’indagine nazionale ruota maggiormente attorno al bisogno dei pazienti, quella EURORDIS tenta di risalire alla risposta offerta dal sistema sanitario e sociale. Congiuntamente evidenziano comuni criticità e coprono l’intero percorso di assistenza richiesta dai malati con patologie rare. In sintesi, emerge che:
•    Bisogno di assistenza: Durante l’emergenza il 60% dei pazienti italiani ha avuto bisogno di assistenza. Tale bisogno si è scontrato con un sistema assistenziale «diverso» che andava conosciuto (e comunicato), oltre che attivato.
•    Accesso alle terapie: Il 60% dei pazienti europei con malattie rare dichiara di non aver avuto accesso alle terapie mediche (infusioni, chemioterapia o trattamenti ormonali) né a casa, né in ospedale. In Italia, il 37% dei pazienti riporta una sospensione delle terapie.
•    Accesso agli ospedali: La rinuncia alle terapie ospedaliere per non essere esposti al contagio è stata diffusa (55%). A livello europeo, il 30% dei pazienti riporta che le unità ospedaliere dedicate sono state temporaneamente chiuse. Analogamente il 46% dei pazienti italiani riporta problemi nell’accesso ai servizi ambulatoriali, causa loro chiusura almeno per i casi non urgenti;
•    Continuità nell’assistenza: Interruzioni, rinvii e cancellazioni di attività emergono lungo tutto il percorso dell’assistenza e hanno riguardato diversi livelli del SSN (MMG, specialisti, ospedali, assistenza psicologica etc) e dell’assistenza sociale. Il 31% dei pazienti italiani segnala mancanza di assistenza sanitaria e sociale. Il 16% lamenta carenza di farmaci o ausili sanitari e trasporti. L’indagine EURORDIS conferma il ruolo chiave della telemedicina per supportare la continuità di cura.
•    Esiti clinici attesi: L’indagine EURORDIS riporta che il 30% dei pazienti ritiene che l’interruzione dell’assistenza possa aver messo a rischio la loro vita in maniera rilevante/definitiva (10% dei pazienti) o quantomeno probabile (20%).
    
Una nuova mappa per le terapie intensive
La Basilicata rappresenta la regione che attualmente registra il rapporto più elevato tra ricoverati in terapia intensiva sui ricoverati totali (100%; percentuale dovuta presumibilmente ad un numero di ricoverati totali basso) seguita dalla Toscana (29,17%). In media, in Italia, il 5,09% dei ricoverati per Covid-19 ricorre al setting assistenziale della terapia intensiva.

La digitalizzazione in epoca di Covid-19
Dopo il primo periodo di emergenza, è continuata la crescita delle iniziative di telemedicina dedicate all’assistenza dei pazienti non Covid. La maggior parte delle iniziative sono adesso dedicate all’assistenza dei pazienti non Covid. Le televisite rappresentano quasi la metà delle iniziative totali avviate ed oltre il 60% relativamente ai pazienti non Covid. Circa il 60% di tutte le iniziative si basa su strumenti immediati e di uso comune: telefono e sistemi di comunicazione web.