di Alessandra Farina *
Dalle aule di Largo Gemelli alle stanze di via Nazionale il passo non è breve. L’impegno, la passione e la caparbietà, però, hanno portato lontano Anna Maria Tarantola: da tre mesi nuovo capo della Vigilanza della Banca d’Italia. Un successo cui si accompagna un primato di non minor conto, quello di essere la prima donna a ricoprire un incarico di questo rilievo nella storia della Banca centrale italiana. Sessantun anni, originaria di Casalpusterlengo nella bassa lodigiana, laureata in Economia e commercio alla Cattolica nel ‘69, Master of Philosophy alla London School of Economics nel ‘71, docente a contratto di Economia monetaria e Tecnica bancaria in Cattolica per circa un ventennio, Tarantola è stata inclusa da un’indagine del «Corriere della Sera» del 2006 fra le trenta «signore del business che contano maggiormente nel nostro Paese». A dispetto dei traguardi tagliati, però, della donna in carriera non ha proprio i modi. Cortese, sorridente, paziente nello spiegare anche i risvolti più tecnici del suo lavoro, è sposata e ha due figlie. Come abbia fatto a conciliare esigenze familiari e private con gli impegni professionali e universitari è un segreto che non rivela, ma che la dice lunga sulla sua persona. Proprio le doti di lavoratrice instancabile, competente ed efficiente, infatti, le hanno meritato la fiducia del governatore Mario Draghi, che, con la promozione a febbraio di quest’anno di Tarantola, ha inteso dare un forte segnale di cambiamento in un momento di profonda trasformazione e riorganizzazione di Bankitalia.
Impegno e spirito di servizio, imparato anche sui banchi dell’Università, sono il segreto della sua vita professionale. «In Cattolica mi sono sentita subito a mio agio – ricorda Tarantola, ripensando alla prima volta che ha varcato il portone di largo Gemelli per orientarsi nella scelta dell’Università –. Mi hanno conquistata la bellezza degli edifici e i chiostri del Bramante, oltre che la fama dei suoi insegnanti». Allora la scelta di Economia e commercio era quasi obbligata per chi proveniva da ragioneria. Era il 1964 e molte altre regole scandivano la vita degli studenti. «Persino troppe», osserva Tarantola, ricordando come «negli anni precedenti alla contestazione i rapporti con i professori erano improntati a una severa formalità». Per le donne che studiavano, poi, c’era qualche regola in più. Il grembiule per esempio. «Noi ragazze eravamo obbligate a indossarlo sempre. E se lo lasciavamo appena sbottonato, i bidelli ci riprendevano». In quell’ambiente la giovane Anna Maria impara una lezione preziosa: il rispetto delle regole. «Non ho mai vissuto il distacco tra professori e allievi in modo negativo, forse perché in famiglia (è figlia di un ex ufficiale della marina militare, ndr) ero già abituata alla disciplina». La futura responsabile della Vigilanza è una studentessa modello: «Frequentavo assiduamente, utilizzando tutte le strutture dell’Università: dalla mensa alla biblioteca. Insieme ad altri studenti, pendolari o dei collegi, avevamo creato un bel gruppetto. Con molti ci vediamo ancora oggi. Impegni permettendo, almeno due volte l’anno». Di quel periodo Tarantola ricorda anche i docenti: «Mario Romani di Storia economica, che faceva lezioni che incantavano, Luigi Pasinetti di Econometria, Giancarlo Mazzocchi di Politica economica e, ovviamente, Luigi Frey di Economia politica, con cui mi sono laureata». Dopo il conseguimento dell’«alloro accademico» nel ‘69, la chiamata del professor Frey le schiude le porte della carriera universitaria. Ai tempi, infatti, Tarantola pensava che il suo futuro sarebbe stato l’insegnamento. Amava la ricerca e il contatto con gli studenti. Così, su suggerimento di Frey, vola a Londra con una borsa di studio Luigi Einaudi per conseguire un Master of Philosophy alla London School of Economics. «Un’esperienza incredibile. Mi sono sentita catapultata in un mondo nuovo, di grande innovazione, dove c’era spazio per mettere in discussione le cose. Avevo docenti del calibro di Henry Johnson, premio Nobel per l’economia, Alan Walters, consulente economico di Margaret Thatcher, Alexander Swoboda. C’era voglia di discutere, approfondire, formulare anche critiche vivaci. Tra loro si dicevano: «Hai sbagliato tutto», oppure: «Il tuo lavoro è pessimo». Le tesine venivano presentate davanti agli altri studenti e ai professori. Dopo ti assalivano. All’inizio ci rimanevo malissimo, poi ho imparato a tirare fuori le unghie, perché ho capito che l’obiettivo era di stimolarmi a fare meglio. Sono partita che ero una studentessa timida e riservata, lì mi sono fatta la grinta».
Al ritorno in Italia, Tarantola partecipa a un corso di formazione a Roma promosso da Bankitalia. Al termine, nel 1971, l’assunzione a Milano all’ufficio di Vigilanza. Assunzione che, se rivoluziona i suoi piani da una parte, dall’altra segna l’inizio di una brillante carriera. «L’ufficio dell’epoca era molto diverso da oggi – rammenta Anna Maria Tarantola, che nel frattempo lavorava in Cattolica la sera e il sabato come docente di Economia monetaria e poi di Tecnica bancaria –. Le norme erano pervasive. L’apertura di sportelli, l’erogazione di crediti superiori a una certa cifra, tutto era sottoposto ad autorizzazione. Io mi occupavo anche di analisi economica a livello regionale. Redigevo report e relazioni da sottoporre all’Amministrazione Centrale in Roma». Nel 1996 arriva la promozione a direttore della filiale di Varese, dove impara a fare il manager a tutto tondo. «Non mi occupavo più solo di vigilanza, ma di tutto quanto riguardava la filiale: dalla tesoreria ai sistemi di pagamento». Da Varese è stata assegnata, in qualità di direttore, a Brescia e poi a Bologna. Nell’aprile 2006 il gran salto: a Roma con la qualifica di ragioniere generale, responsabile dell’area Bilancio e Controllo. Di lì la nomina, pochi mesi fa, a capo dell’Area Vigilanza Creditizia e Finanziaria di via Nazionale.
La vigilanza sta cambiando enormemente, perché sono finiti i tempi in cui le regole stabilivano cosa le banche potevano e non potevano fare – spiega Tarantola –. Da una “vigilanza strutturale” si è passati a una “vigilanza prudenziale”, in cui le Autorità verificano che la gestione delle banche sia “sana e prudente”, lasciando agli operatori l’autonomia di determinare strategie, organizzazione e operatività». Se prima, ad esempio, era necessaria l’autorizzazione preventiva per aprire un nuovo sportello, ora le banche possono realizzare liberamente le loro scelte di crescita territoriale. Il periodo attuale è caratterizzato dalla contestuale presenza di banche a rilevanza internazionale, nazionale e locale, intenso sviluppo di nuove tipologie di intermediari e di operazioni, crescente integrazione dei mercati. Rilevante è l’impatto connesso all’entrata in vigore dell’accordo sul capitale “Basilea 2”, che prevede, tra l’altro, la possibilità da parte delle banche di utilizzare modelli interni ai fini del calcolo del requisito patrimoniale a fronte dei rischi di credito, di controparte, di mercato e operativi. L’accordo è stato recentemente recepito nell’Unione Europea ad opera della direttiva sull’adeguatezza del capitale. Tutto ciò ha notevolmente influenzato la policy e le prassi della vigilanza; si accresce la complessità del lavoro. «Basilea 2 ha reso più delicati i compiti di valutazione delle situazioni aziendali. Il ruolo della vigilanza oggi è sempre più quello di conciliare mercato e regole. La linea di tendenza è quella di indurre gli operatori bancari e finanziari ad adottare le regole migliori; la norma tende sempre più a recepire le best-practices aziendali. Per riprendere le parole del governatore Draghi, il principio a cui ci ispiriamo è quello di una “vigilanza moderna, agile, pronta ad ascoltare i suggerimenti del settore privato per migliorare e rendere più efficace la regolamentazione ma al tempo stesso inflessibile nell’opera tesa a garantire competenza, correttezza e solidità degli operatori ”». Comportamenti corretti sono cruciali per assicurare la sana e prudente gestione dei singoli operatori, prevenire rischi legali e reputazionali, e, quindi, garantire stabilità, competitività ed efficienza.
Ai giovani che desiderino entrare in Banca d’Italia, infine, Tarantola rivolge un particolare incoraggiamento, perché «la Banca è sempre stata sensibile ai giovani e tutti gli anni assume dai 20 ai 30 migliori laureati attraverso concorsi pubblici». Ora poi che la Banca «sta progettando una riforma degli assetti organizzativi, il contesto è di grande interesse. Dove le cose si muovono, infatti, si aprono nuove opportunità». Con la riforma contenuta nella legge sul risparmio, Bankitalia «è un’istituzione che sta cambiando. Non ci sono situazioni predefinite. In un momento del genere – sintetizza Tarantola – diventa possibile anche per un giovane apportare un contributo decisivo».
* articolo pubblicato sul numero 3, maggio-giugno di Presenza del’Università Cattolica