Dall’entusiasmo iniziale a una fase di ripensamento. Si può riassumere così la parabola che nella storia recente ha accompagnato la nascita e l’evoluzione della sharing economy in Italia, e non solo. A fronte di chi pensava di avere a che fare con una rivoluzione dal basso dell’economia, c’è chi ora solleva dubbi sulla natura di questo modello della condivisione.

Così almeno la pensa il professor Mario A. Maggioni (al centro nella foto), docente di Economia dell’innovazione alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica, autore di un recente volume dal titolo “La sharing economy. Chi guadagna e chi perde”, presentato lo scorso 30 novembre nella Libreria Vita e Pensiero a Milano. Fin da quando gli studi scientifici in Italia hanno cominciato a occuparsi del fenomeno, l’economista della Cattolica si è subito dimostrato una voce fuori dal coro.

Ricordando un evento sulla sharing economy organizzato nel 2013 fa in Università Cattolica con Collaboriamo.org, Ivana Pais (a sinistra nella foto), docente di Sociologia economica, ammette che l’euforia di allora sia stata sostituita da una fase di riflessione sul fenomeno. Eppure la sharing economy non nasceva dal nulla: «La sua stessa denominazione rimanda a un modello di business basato sulla condivisione e ricollocazione delle risorse, sganciata dalla visione dell’economia classica», spiega la sociologa. «È stato proprio il fallimento delle sue logiche a favorire la nascita di nuove forme di consumo collaborativo».

Già nel 2013, nel pieno dell’esplosione di quelle nuove forme di economia, il professor Maggioni metteva in guardia dai modelli di business proposti, piuttosto tradizionali, e dalla mancanza di un quadro normativo certo. «Servizi come Uber, che per anni sono stati identificati con la sharing economy, hanno ben poco di collaborativo e possono essere più efficacemente descritti come l’applicazione di un nuovo paradigma tecnologico, legato all’accessibilità di una piattaforma web da dispositivi mobili, a una forma molto più tradizionale di prestazione di servizi il cui meccanismo allocativo è costituito dal prezzo», osserva l’economista.

«Tutte le tecnologie che utilizzano la rete godono di economie di scala non soltanto sul lato dell’offerta, come nelle imprese classiche, ma anche sul versante della domanda, a causa dell’esternalità di rete. E pensare che Internet, fin dalla sua creazione da parte di Vint Cerf, nasce con l’idea di liberare la cultura e di permettere una comunicazione p2p. Invece, negli ultimi anni, si è trasformato nello strumento più efficiente per realizzare concentrazioni di mercato, polarizzazione del reddito e aumento delle diseguaglianze».

Non è un caso che «lo stesso servizio possa essere percepito in maniera diversa a seconda dei Paesi in cui opera» come afferma Andrea Saviane (al centro nella foto), parlando della piattaforma di car pooling BlaBlacar di cui è country manager. «In Italia, per esempio, è considerata una comunità degli utenti; in Germania è percepita come un’azienda per cui eventuali disservizi sono imputati al management della piattaforma; in Russia, invece, rappresenta uno strumento per risparmiare: l’unico obiettivo di chi vi ricorre è spendere il meno possibile per compiere un dato tragitto».

Il nodo crucuale che resta da sciogliere, dunque, resta soprattutto la regolamentazione delle piattaforme. «In Italia quando si parla di regolamentare nuovi fenomeni, in primo luogo, ci si scontra con un sistema giuridico che, basato sulla civil law e abituato a regolamentare ex ante tutti i possibili casi attraverso la norma, entra in crisi quando deve confrontarsi con realtà dalle evoluzioni rapide ed imprevedibili come la sharing economy», dice il professor Maggioni. «Al contrario di sistemi basati sul principio di common law, in cui la normativa può seguire l’evoluzione del settore e della tecnologia attraverso il principio del “precedente”. Paradossalmente un sistema rigido come il nostro, data la scarsa velocità di reazione, ha lasciato enormi falle normative, che sono state utilizzate dalle grandi piattaforme multinazionali per evadere il fisco o sfruttare i lavoratori».

«La seconda difficoltà che deve scontare il nostro Paese è dovuta alla centralizzazione del potere che rende necessariamente omogenea su tutto il territorio nazionale la regolamentazione. In stati federali come gli Usa le diverse legislazioni locali permettono di sperimentare e testare le innovazioni, individuando passo dopo passo soluzioni specifiche».

Per l’economista della Cattolica esistono quattro possibili vie per la regolazione dell’economia condivisa. A un estremo sta «l’approccio al non intervento, promosso dagli economisti più liberali, che si è già dimostrato un fallimento, in particolare nel campo della responsabilità civile e della protezione sociale». All’opposto c’è la regolazione generalizzata: applicare le stesse regole valide per i soggetti “off-line” alle piattaforme della sharing economy. Un approccio, aggiunge Maggioni, che non sembra potersi realizzare in quanto i regolamenti imposti alle imprese tradizionali risultano ormai obsoleti e spesso inapplicabili ai nuovi protagonisti.

Nel mezzo troviamo, da una parte, la regolazione e progressiva liberalizzazione, ovvero il tentativo di regolamentare le nuove economie di condivisione e progressivamente liberalizzare le imprese classiche di quel settore per arrivare a una convergenza; dall’altra, l’approccio ibrido che, promosso da alcuni studiosi della sharing economy, propone l’applicazione di regimi ad hoc per i singoli settori (car-sharing diverso da social eating diverso da locazione di breve periodo), in grado di assicurare la necessaria flessibilità della norma per tenere conto delle caratteristiche specifiche del mercato.

Gli argomenti sul piatto sono diversi. Nel frattempo l’Antitrust ha bocciato la cosiddetta “tassa su Airbnb” perché giudicata scorretta nei confronti della concorrenza. «La continua evoluzione e diffusione di questo modello economico rende sempre più attuale e urgente il tema della sua regolazione», conclude il professore della Cattolica. E il governo italiano dovrà decidere in fretta quale strada percorrere.