L’Università Cattolica – Sede di Roma nell’ambito di una collaborazione internazionale ha contribuito alla realizzazione del primo modello animale per lo studio dell’artrite psoriasica, una malattia infiammatoria che in Italia colpisce oltre centomila persone.

L’innovativo lavoro è stato svolto negli Stati Uniti e in Italia ed è il risultato di una collaborazione di più centri coordinata da Paul D. Robbins, professore di Biochimica, Biologia molecolare e Biofisica presso la University of Minnesota, dalla professoressa Laura Niedernhofer, dal dottor Raphael Flores, dalla dottoressa Debora Colangelo nel suo periodo di ricerca allo Scripps Institute in Florida e dal professor Enrico Pola, ricercatore dell’Istituto di Clinica Ortopedica dell’Università Cattolica, diretto dal professor Giulio Maccauro, e medico dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia vertebrale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.

Pubblicato sulla rivista The FASEB journal (Federation of American Societies For Experimental Biology). La rivista è la più citata al mondo in biologia, il lavoro rappresenta già una pietra miliare nella lotta all’artrite psoriatica (PsA).

L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica che riduce la mobilità e l’agilità dei pazienti, caratterizzata da dolore, gonfiore e rigidità delle articolazioni interessate, e che porta ad aumentato rischio di sviluppare il diabete di tipo II, compromettendo decisamente la qualità di vita dei pazienti e lo svolgimento delle normali attività connesse alla vita quotidiana. Lo studio presenta un nuovo modello animale, unico nel suo genere, che ricapitola tutti gli aspetti dell’artrite psoriasica contemporaneamente (eritema, desquamazione ed ispessimento della pelle, degenerazione delle vertebre, ispessimento sinoviale e perdita di cartilagine articolare nel ginocchio), ottenuto attraverso modifiche genetiche (inserimento del gene “IL-23”, per l’interleuchina 23 proinfiammatoria).

“L’importanza del nuovo modello – dichiara il professor Pola - si concretizza nella possibilità di aprire finalmente un varco nell’approccio terapeutico in particolare della degenerazione discale e dell’artrite della colonna connesse a questa patologia e, quindi, di poter migliorare la qualità di vita dei pazienti”.