Il diabete di tipo 2 ha ormai assunto proporzioni pandemiche e non solo nei paesi industrializzati. Nella sola Italia almeno il 5% della popolazione generale presenta questa condizione. Le cause di questo aumento sono per lo più legate a stili di vita ed alimentazione scorretti, vale a dire alla riduzione dell’attività fisica e all’aumento delle calorie ingerite, spesso derivanti da alimenti lontani dalla nostra tradizionale e sana dieta mediterranea. Eppure, non tutte le persone che hanno i fattori di rischio per diabete poi sviluppano questa condizione. Questa ricerca getta luce sulla presenza, in alcune persone, di speciali scudi di protezione anti-diabete.

«L’idea di questo studio – spiega Andrea Giaccari, professore di Diabetologia del Gemelli, Consigliere Nazionale della Società Italiana di Diabetologia (SID) e coordinatore del gruppo di ricerca italiano – nasce da una domanda postami dal professor Gennaro Clemente, della grande scuola chirurgica del professor Gennaro Nuzzo. Il collega chirurgo infatti, pur eseguendo sempre la stessa tipologia di intervento per asportare i tumori della testa del pancreas, ha avuto modo di osservare che alcuni pazienti escono dalla sala operatoria con il diabete, mentre altri no. Perché?»

Il professor Giaccari ha dunque deciso di studiare in modo approfondito questi pazienti, per scoprire cosa differenziasse quelli che sviluppano il diabete nel post-operatorio, da quelli che mantengono una condizione di normoglicemia. Molti dei pazienti sottoposti all’intervento di pancreasectomia infatti, pur avendo “sulla carta” tutti i fattori di rischio per sviluppare diabete, mantenevano anche dopo l’intervento una glicemia perfettamente normale.

Per capire cosa succede nei soggetti che, a dispetto del loro corredo di fattori di rischio, non presentavano diabete dopo l’intervento, Teresa Mezza, giovane ricercatrice del Gemelli e primo nome del lavoro, ha esaminato nei laboratori di Boston, dove si trova grazie a una borsa di studio della Società italiana di Diabetologia, la porzione di pancreas asportata chirurgicamente. «In questo modo – afferma il professor Giaccari – siamo riusciti a scoprire che alcuni pazienti erano in grado di difendersi dal diabete creando nuove cellule produttrici di insulina, attraverso la “trasformazione” (il termine tecnico è “trans-differenziazione”) delle cellule del pancreas produttrici glucagone, in cellule che producono insulina. Sono proprio queste cellule “trans” a permettere a queste persone di mantenere la glicemia normale, nonostante la presenza dei fattori di rischio».

Le isole endocrine del pancreas sono composte da due ben distinte popolazioni cellulari, entrambe coinvolte nel metabolismo del glucosio, ma con funzioni diametralmente opposte: le cellule beta producono insulina, l’ormone deputato a ridurre la glicemia; le cellule alfa sono invece deputate alla produzione di glucagone, un ormone che alza la glicemia. In alcune persone, nel momento del bisogno, un tipo cellulare si trasforma nell’altro.

«Con questo lavoro – prosegue il professor Giaccari – abbiamo evidenziato che le cellule alfa aumentano di numero, si “differenziano”, cioè regrediscono a uno stato primordiale, perdendo la memoria di quello che sono, e in seguito si ri-differenziano in cellule beta, che producono insulina. In altre parole, le cellule alfa che producono glucagone, seguendo un comando ancora ignoto ma già riprodotto in vitro, cambiano completamente “vocazione”, trasformandosi in cellule produttrici di insulina. Con questo meccanismo alcune persone riescono spontaneamente a evitare il diabete».

Diventa così anche possibile ipotizzare che la perdita di questo meccanismo sia alla base di alcune forme di diabete. «Il prossimo passo - annuncia il professor Giaccari – sarà di proseguire questo filone di ricerca sul modello animale, per arrivare a identificare i meccanismi molecolari alla base di questa trans-differenziazione, cioè il misterioso “comando” che porta una cellula a differenziarsi in un altro tipo cellulare, per poi verificarli nell’uomo. L’importanza dei risultati di questo studio ci ha spinto tuttavia a condividerli subito con tutta la comunità scientifica. La ricerca è particolarmente innovativa perché non studia i meccanismi che conducono al diabete, ma come poterlo evitare, nonostante la presenza di fattori di rischio. Capire i meccanismi che permettono di difendersi dal diabete potrà consentire un giorno di riprodurli e di sfruttarli a fini terapeutici. Dobbiamo insistere su questa nuova strada – conclude Andrea Giaccari – sono certo che ora, oltre a noi, molti laboratori nel mondo la seguiranno, e la soluzione si troverà. Nel frattempo, la prima terapia resta sempre il ritorno alle origini: attività fisica ed alimentazione sana».


 

DIABETES

doi  10.2337/db13-1013
Insulin resistance alters islet morphology in non-diabetic humans
Teresa Mezza1,2, Giovanna Muscogiuri2, Gian Pio Sorice2, Gennaro Clemente3, Jiang Hu1, Alfredo
Pontecorvi2, Jens J. Holst4, Andrea Giaccari2,5, Rohit N. Kulkarni1

1 Islet Cell Biology & Regenerative Medicine, Joslin Diabetes Center, Department of Medicine,
Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School, Boston, Massachusetts 02215
2 Division of Endocrinology and Metabolic Diseases, Università Cattolica del Sacro Cuore, Rome,
Italy
3 Department of Surgery, Università Cattolica del Sacro Cuore, Rome, Italy
4 NNF Center for Basic Metabolic Research, Department of Biomedical Sciences, the Panum Institute, University of Copenhagen,Denmark
5 Fondazione Don Gnocchi,Milan, Italy