Il 3 novembre gli americani sono chiamati al voto per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Abbiamo chiesto ad alcuni giornalisti di varie testate, particolarmente esperti di politica americana e alcuni dei quali alumni dell’Università Cattolica, di aiutarci a capire dove stanno andando gli Stati Uniti e come affrontano uno dei passaggi più delicati della loro storia. Il nostro speciale


di Emiliano Dal Toso

Dobbiamo aspettare fino agli ultimi istanti prima di conoscere il nome del nuovo presidente degli Stati Uniti. Secondo Daniele Meloni, esperto di politica americana, collaboratore di Startmag ed ex studente della Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica, sia Donald Trump che Joe Biden hanno commesso errori e non godono dell’appoggio uniforme da parte dei rispettivi partiti. Ciononostante, sarà difficile che anche nel caso di una sostituzione alla Casa Bianca possano avvenire grandi cambiamenti. 

«La maggior parte dei sondaggi dice Biden, non sempre però i sondaggisti ci prendono, come è accaduto nel 2016» afferma Meloni. «Questa volta però è più difficile che i Democratici vengano presi di sorpresa. Negli Swing States la situazione si è ribaltata: Arizona e Texas si consideravano in mano ai Repubblicani ma questa volta la monetina può cadere dall’altra parte. Per quanto riguarda i voti postali la conta non terminerà sicuramente prima del 9 novembre, ma il loro peso dipenderà dalla distribuzione dei grandi elettori, quanti saranno andati a Biden e quanti a Trump. Nel caso in cui si dovessero aspettare i voti postali, la situazione farebbe presagire a contestazioni sicure, perché più il tempo passa e più le fazioni legali cercano di fare valere le loro ragioni. La speranza di tutti è che si evidenzi un risultato chiaro già nella notte tra martedì e mercoledì».

La gestione della pandemia è stata sicuramente un grosso handicap per Trump. Chi voterà Trump perché lo farà? «Senza Covid sono certo che Trump sarebbe stato rieletto con un vantaggio netto. Prima del Covid la politica economica e Wall Street stavano inanellando record su record. Gli elettori indecisi sanno che nel Partito Democratico non c’è più un Obama. Joe Biden è un vecchio politico che ha avuto il suo primo ruolo istituzionale nel 1972 e che dal 2008 si trova alla presidenza. Non è un personaggio che muove grande entusiasmo. Un elettore potrebbe votare per Trump perché probabilmente lo ha già votato nel 2016, quando era l’outsider della politica e rappresentava la grande alternativa. Ora però è arrivato il momento del bilancio. Trump si ama o si odia, chi amava Trump credo che continuerà a farlo, a meno che non abbia sofferto direttamente le conseguenze della pandemia». 

Quali sono gli Stati da seguire con maggiore attenzione? «La Florida mette in palio 28 grandi elettori ed è oscillante tra Democratici e Repubblicani. Una spia decisiva può essere l’Ohio, perché senza Ohio i Repubblicani non hanno mai vinto. Il North Carolina è un altro Stato in bilico, così come lo sono Wisconsin e Michigan che mettono in palio 15 e 16 elettori. I Repubblicani partono con handicap, perché New York e la California sono due roccaforti democratiche e sanno di non avere possibilità, mentre il risultato del Texas, storicamente repubblicano, non appare scontato».

Quali sono stati gli errori nel corso di questa campagna elettorale da parte del Partito Democratico? Biden è il miglior candidato che si potesse presentare? «La scelta del candidato è l’errore principale. Il Partito Democratico è una macchina rodata, ma questa volta l’alternativa al socialista Sanders è stata quella di un personaggio che non porta di certo con sé un’aria fresca e nuova e che rappresenta una politica fin troppo tradizionale. Va detto che già quattro anni fa con Hillary Clinton i Democratici non ci capirono nulla, fu un candidato che dopo aver vinto le primarie contro Sanders aveva allontanato la parte più radicale e di sinistra, che si astenne o comunque non votò per lei. Hillary era un simbolo dell’establishment che provocava sentimenti di odio da parte di un pezzo di America che Trump invece riuscì a intercettare. Bisogna dire che adesso lo scenario è diverso: questa volta c’è una coalizione più coesa in ottica anti-Trump e credo che i fans di Sanders voteranno comunque per Biden».

Che cosa si devono aspettare l’America e il resto del mondo nel caso di una rielezione di Trump? E che cosa invece nel caso di una vittoria di Biden? «Cambierà pochissimo in entrambi i casi. Biden sta facendo una campagna negli Stati della post-industrializzazione con slogan come Buy America, che sembrano rubati da Trump. Il sistema economico adottato da Trump proseguirà perché a Biden non conviene adottare una politica economica diversa. Cambierà però il rapporto con l’Europa, con la Germania in particolare, e cambierà il rapporto con la Nato, anche se nulla avverrà in maniera radicale. Per esempio, non cambieranno i dazi sui prodotti europei. Biden modificherà di sicuro il rapporto con l’Iran, perché molte aziende americane fanno affari in Iran, e per questo motivo cercherà di riportare Teheran nella comunità internazionale».

Se dovesse vincere Trump? «Proseguirà la linea dura nei confronti dell’Iran Per quanto riguarda Israele, Biden ha confermato che l’ambasciata americana resterà a Gerusalemme e non sarà spostata a Tel Aviv, e sicuramente gli Accordi di Abramo firmati da Trump rimarranno in piedi in ogni caso. Infine, la Cina: gli Stati Uniti sono consci che si tratta del rivale del momento e con Biden avverrebbe senz’altro un accomodamento verbale ma certamente non di natura politica».


Nona e ultima di una serie di interviste con giornalisti esperti di politica americana in vista delle Presidenziali Usa 2020