di Marta Francesca Vacca *

Prima di partire per il mio Charity Work Program in Uganda non avrei mai pensato di tornare con “il mal d’Africa”. Mi avevano detto quanto sono calde, amichevoli, accoglienti le persone ma non credevo fino a questo punto. 

Non immaginavo di sentirmi a casa dopo pochi giorni, in un posto così diverso da casa. Non immaginavo di vedere la povertà, la malattia, così nuda e cruda ma con il sorriso. A noi bianchi ci chiamano muzngus che in swahili vuol dire “uomo bianco”, ma è divertente pensare come assomigli a “muso lungo”, perché questo siamo. 

Siamo bianchi che hanno tutto, una bella macchina, il telefono di ultima generazione, il finger food, il vestito di marca ma il muso lungo. Per una con il muso lungo vedere gioia e speranza negli occhi di persone che non hanno niente, che hanno difficoltà anche solo a comprare un farmaco o ad effettuare una procedura medica, è stato sorprendente. 

Così come è stato sorprendente e spaventoso non trovare al Benedict Medical Centre nemmeno l’ombra dei mezzi che siamo abituati ad avere all’interno di un ospedale, vedere come i medici si entusiasmassero anche solo alla vista del mio fonendoscopio Littman. 

È un’esperienza che insegna tanto dal punto di vista medico, ti fa avvicinare a quella che era la medicina di una volta con tanta semeiotica, ti permette di studiare patologie che da noi non ci sono, ma soprattutto ti dice molto sul rapporto medico-paziente che da noi si sta perdendo. 

A volte ti senti impotente, perché vorresti essere in grado di dare un aiuto in più, perché pensi: “Se fossimo stati in Italia questo problema l’avremmo già risolto”. Eppure i medici se la cavano, eppure rimangono calmi perché “qui ci arrangiamo con quello che abbiamo, it’s the African style”. 

La realtà è che quattro settimane in Uganda, d’estate, lontano dal mare, dopo un anno intenso di università, all’inizio sembravano un po’ troppe, un po’ eccessive, e alla fine diventano decisamente poche. Alla fine avresti voluto fare di più, vedere di più e sei sicuro di una cosa sola: che ci vuoi tornare.

* 24 anni, di Sassari, quinto anno del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, facoltà di Medicina e Chirurgia, campus di Roma