Una delle visite guidate al museo nell'ambito del progetto pilota "La memoria del bello"Una riduzione (pari al 20% rispetto ai pazienti non trattati) nella frequenza e severità dei disturbi psico-comportamentali nelle persone con malattia di Alzheimer; effetti benefici significativi per i sintomi di ansia, depressione, apatia, irritabilità, aggressività e disturbi del comportamento alimentare. Similmente, una importante riduzione del livello di stress dei caregiver dei pazienti trattati rispetto ai cosiddetti controlli. Sono questi i principali risultati di un progetto pilota di tipo sperimentale intitolato “La memoria del bello>, condotto in collaborazione tra il dipartimento di Scienze gerontologiche, geriatriche e fisiatriche del Policlinico A. Gemelli e la Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea (Gnam) di Roma con l’obiettivo primario di valutare l’effetto dell’esposizione ad arti visive in setting museale sui sintomi cognitivi e psico-comportamentali di pazienti con demenza di Alzheimer in fase lieve-moderata. Il beneficio è risultato non più evidente dopo un mese dal termine delle visite.

Negli ultimi dieci anni si sono accumulate evidenze scientifiche secondo cui l'arte e le attività creative svolgono un ruolo terapeutico nei confronti dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer poiché agiscono sui circuiti emozionali che, rispetto a quelli cognitivi, restano preservati più a lungo nel decorso della malattia. Sulla base di tali premesse teoriche è stato ideato il progetto  che ha preso il via lo scorso 23 marzo, i cui risultati, sono stati illustrati il 14 ottobre a Roma, in occasione di un convegno presso la Galleria nazionale.

«Hanno preso parte alla fase sperimentale del progetto, alla presenza di operatori museali e di due psicologi, 14 pazienti e i relativi 14 caregiver, inclusi nel gruppo di intervento, valutati mediante batterie di test neuropsicologici e psico-comportamentali prima dell’inizio del trattamento, subito dopo il termine delle visite e un mese dopo. L’età media dei pazienti inclusi nello studio è stata di 78 anni e oltre l’80% di essi è risultato affetto da altre comorbità mediche associate alla demenza», piega il professor Roberto Bernabei, direttore del Scienze gerontologiche, geriatriche e fisiatriche del Gemelli.

«Il progetto sperimentale - prosegue Bernabei - si è svolto in due momenti:  due cicli di tre visite presso la Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma dedicate a pazienti con malattia di Alzheimer e i loro caregiver, cioè coloro che si prendono cura della persona malata. Una seconda parte, dove i partecipanti al progetto sono stati sottoposti a valutazione clinica e neuropsicologica e ne è stato rilevato l'impatto emotivo in relazione all'esperienza museale». I dati dei trattati sono stati confrontati con dati relativi ai pazienti e caregiver del gruppo di controllo che hanno proseguito in regime stabile le cure standard e sono stati sottoposti alle stesse valutazioni neuropsicologiche e psico-comportamentali eseguite sui casi. «L’aderenza al trattamento sperimentale - sottolinea Rossella Liperoti, geriatra del Gemelli e coautrice dello studio - è risultata del 90%, il che indica che quasi tutti i pazienti e caregiver nel gruppo dei casi hanno completato le tre visite museali previste».

Il risultato più significativo ha riguardato la sfera dei disturbi psico-comportamentali: «In questi casi è stata evidenziata una riduzione del 20% nella frequenza e severità di tali sintomi nei pazienti trattati rispetto a una sostanziale stazionarietà nei cosiddetti controlli», prosegue la dottoressa Liperoti. «Gli effetti più benefici sono stati stimati per i sintomi di ansia, depressione, apatia, irritabilità, aggressività e disturbi del comportamento alimentare misurati alla prima valutazione effettuata dopo il termine delle visite museali.  Similmente, una riduzione di circa il 25% del livello di stress del caregiver relativo alla presenza di sintomi psico-comportamentali nei trattati rispetto ai controlli è stata evidenziata alla prima valutazione dopo il termine delle visite museali. Tale beneficio è risultato non più evidente dopo un mese dal termine delle visite».  Questi dati individuano un potenziale ruolo importante di terapie non farmacologiche basate sull’esposizione alle arti visive nella malattia di Alzheimer, con particolare riguardo per i sintomi psico-comportamentali il cui trattamento rappresenta uno aspetto clinico problematico. Studi più ampi - conclude Rossella Liperoti - potranno confermare queste iniziali evidenze e porre le basi per l’inserimento sistematico di tali terapie nel regime di trattamento dei pazienti con Alzheimer».