E se i prodotti verdi inquinassero? Non si tratta di fare terrorismo psicologico o di indebolire la coscienza ambientale che si è faticosamente diffusa nell’opinione pubblica minandone la fiducia. Ma gli esperti hanno il dovere di capire se il riciclo di materiali, se mal gestito, non contenga dei rischi di inquinamento. È lo scopo del progetto Riskcycle, finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Settimo programma quadro e vede la partecipazione della facoltà di Agraria insieme ad altre università e centri di ricerca di diversi paesi europei (Italia, Spagna, Germania, Francia, Svezia, Danimarca, e Olanda) e di alcuni paesi extra-europei (Vietnam, Cina, India e Brasile). Che si sono dati appuntamento all’inizio di maggio nella capitale vietnamita Hanoi per il workshop Risk-based management of chemicals and products in a circular economy at a global scale. Il gioco di parole che dà il nome al progetto indica lea preoccupazione che in un’economia circolare e globale il commercio e il riciclo dei prodotti non possano non avere una stima del rischio concordata, soprattutto perché per questi materiali il rilascio nell’ambiente di sostanze nocive durante il riciclo e l’uso di prodotti riciclati non ha nessuna regolamentazione.

«Quello che succede ha dell’assurdo - commenta Ettore Capri, coordinatore del gruppo di ricerca piacentino di ritorno dall’incontro -. Quando ricicliamo materiali anche semplici come la carta proveniente da Paesi non europei rischiamo di liberare nel nostro ambiente sostanze tossiche semplicemente perché non ne conosciamo l’esistenza e il loro uso nei luoghi di origine. Ma sono centinaia i potenziali contaminanti presenti nei materiali che ricicliamo molti dei quali non controllati e di cui non conosciamo il rischio per l’uomo e per la natura. E per assurdo il cittadino pensa che si tratti sempre di prodotti a impatto zero per l’ambiente». Il progetto si concentra sul destino e sul comportamento degli additivi usati in sei differenti settori: tessile, elettronico, plastico, cuoio, carta e lubrificanti per i quali sarà sviluppata una strategia globale per la sicurezza e la gestione del rischio degli additivi.

Gabriella FaitAl workshop organizzato dai vietnamiti coinvolti nella ricerca, hanno partecipato gruppi dei vari paesi e professori e studenti della Hanoi University of Science, rappresentanti del Vietnam Environment Administration e del ministero delle Risorse naturali e ambientali. «Questo ha permesso uno scambio di conoscenze e informazioni provenienti dalla varie realtà», commenta Gabriella Fait [nella foto], ricercatrice responsabile operativa del progetto. «Dalle diverse presentazioni è emerso che in Vietnam la generazione di rifiuti è in aumento a causa della rapida crescita del Paese (85 milioni di abitanti, 10% d’incremento produttivo annuo) ma la raccolta, il trasporto e lo smaltimento non riescono a tenere testa a una crescita così impetuosa. E le risorse alterative non sono disponibili. Interi villaggi sono dediti al riciclo della carta e di altri materiali (vetro, metalli, etc…) in condizioni lavorative per noi intollerabili. I metodi usati per il riciclo di tali rifiuti sono però inquinanti e dannosi per la salute umana, mentre gli scarichi industriali vengono direttamente convogliati nelle acque irrigue delle risaie o nell’aria, ulteriore fonte di danno ambientale».

Il workshop ha portato alla conclusione che anche in Vietnam è necessaria una revisione della legislazione per la protezione dell’ambiente per creare un sistema unificato di istituzioni competenti nella gestione dei rifiuti. Più in generale si è notato che è anche necessario aumentare la consapevolezza civile riguardo al tema dei rifiuti e del loro riciclo, oltre che la ricerca in un settore così multidisciplinare. «Il messaggio che abbiamo raccolto - conclude Capri - è che il Vietnam è un esempio rappresentativo non così estremo di tutti i Paesi del mondo e dell’intera economia globale destinata domani ancora più di oggi a riciclare qualsiasi rifiuto perché le risorse, anche quelle rinnovabili, diventano sempre più limitate».