Risparmio di tessuto osseo, riduzione del dolore e minori complicanze post operatorie sono i principali vantaggi delle nuove tecniche di chirurgia mininvasiva (Minimal Invasive Surgery - Mis) per la protesi dell’anca. L'intervento si rende necessario per risolvere i problemi di artrosi all’anca quando il dolore e la patologia osteoarticolare impediscono anche i più semplici movimenti come il salire le scale o allacciarsi le scarpe, compromettendo seriamente la qualità di vita. Sono circa 70.000 l'anno in Italia gli interventi per protesi dell’anca, nel mondo oltre 1.000.000. Negli ultimi dieci anni si è sviluppato un grande interesse nell’eseguire protesi d’anca attraverso minime incisioni cutanee, vie d’accesso chirurgiche non invasive e maggiore risparmio di osso: sono questi i temi di cui si è occupato l’evento scientifico “La chirurgia mini invasiva nella profilassi e nel trattamento dell’artrosi dell’anca”, che si è svolto lo scorso 6 novembre al Policlinico universitario “Agostino Gemelli”. L’iniziativa, promossa dal dipartimento di Scienze ortopediche e traumatologiche, diretto dal professor Carlo Ambrogio Logroscino, è stata l’occasione per un confronto sulle “filosofie protesiche conservative” per l’artrosi all’anca, l'articolazione che permette al femore di muoversi rispetto al bacino. Come tutte le articolazioni sottoposte al peso corporeo, è soggetta a sollecitazioni molto elevate e, quando questo delicato equilibrio entra in crisi, l'anca diventa dolorosa e rigida.

«Il meeting internazionale – spiega l’ortopedico della Cattolica, Giampiero Magliocchetti Lombi, chairman del Convegno – ha puntato l’attenzione sulle nuove terapie mini-invasive per l’artrosi all’anca. Negli ultimi decenni, grazie agli studi di Reinhold Ganz, la chirurgia dell’anca ha approfondito le proprie conoscenze sulla vascolarizzazione dell’epifisi prossimale del femore e ha individuato la “sindrome da impingement femoro-acetabolare, sia come entità patologica a se stante, che come eziopatogenesi di coxartrosi». «A fronte dell’esigenza di una sempre minore invasività - aggiunge il coordinatore scientifico del convegno Giandomenico Logroscino - sono state messe a punto tecniche artroscopiche, nuove vie chirurgiche, nuovi disegni protesici, nuovi sistemi di navigazione oltre a una rapida evoluzione dei materiali, realizzati sia per una migliore osteointegrazione, che per nuovi accoppiamenti a bassa usura». «Ormai, da circa venti anni, la Clinica Ortopedica dell’Università Cattolica di Roma, diretta dal professor Carlo Fabbriciani - continua Magliocchetti - rappresenta un centro di riferimento per la chirurgia mini invasiva per l’anca: siamo stati tra i primi in Italia a utilizzare queste tecniche».

«Con l’introduzione di queste innovative metodiche, i pazienti hanno tanti vantaggi, occorre però ricordare che i casi più complessi non possono beneficiare della tecnica chirurgica mini invasiva. I nuovi dispositivi protesici - precisa il dottor Logroscino - consentono un risparmio di tessuto osseo, una riduzione del dolore e minori complicanze post operatorie. Le nuove tecniche mininvasive possono per ora essere impiegate in almeno il 50% dei casi, ma i continui progressi in questo campo fanno ritenere che in futuro potranno essere impiegate di routine nella maggior parte dei pazienti affetti da artrosi primaria dell'anca. Il futuro nella chirurgia in genere e soprattutto ortopedica, sempre meno aggressiva, consente al paziente di tornare più rapidamente a una vita normale con una riduzione del dolore post-operatorio, dei tempi di degenza, con cicatrici minime e un più rapido recupero funzionale».

Nell’ambito del meeting, tra gli argomenti oggetto di discussione, particolare attenzione è stata dedicata ai dibattiti che hanno concluso le due sessioni dell’incontro scientifico: la “chirurgia conservativa dell’anca pre-protesica” e le “filosofie protesiche conservative a confronto” nonché l’esperienza del Policlinico Gemelli, pioniere di queste tecniche in Italia.