Le donne guadagnano meno degli uomini, a parità di posizione ricoperta e livello di istruzione. Un gap salariale che nel decennio 1995-2005 è peggiorato, passando dal 17.4% del ’95 al 24.6% del 2005. È uno dei risultati della ricerca realizzata da Chiara Mussida, assegnista di ricerca della facoltà di Economia della sede piacentina che, insieme a Matteo Picchio si è aggiudicata il Premio Tarantelli, assegnato ogni anno dall’Associazione italiana economisti del lavoro (Aiel) per la ricerca più originale e interessante sull’ Economia del lavoro.

Laureata nel 2005 nella facoltà di Piacenza con una tesi in Economia del lavoro, Chiara Mussida ha scelto la strada della ricerca iscrivendosi al dottorato di Politica economica, che l’ha portata alla Sussex University e alla collaborazione con diversi centri di ricerca nazionali. Oggi è assegnista di ricerca a Piacenza e continua a coltivare la sua passione per l’economia del lavoro.

«È stata per me una soddisfazione immensa ricevere questo premio, se si considera l’elevato numero di paper con cui ho dovuto concorrere – sottolinea la giovane ricercatrice –. Questo riconoscimento premia il lavoro, ma soprattutto rappresenta uno stimolo a proseguire sulla strada, non sempre facile, della ricerca». Il premio è stato consegnato lo scorso 28 settembre alla Reggia di Caserta, dal figlio dell’economista Ezio Tarantelli, ucciso per mano delle Brigate rosse nel 1985.

Chiara Mussida e il collega Matteo Picchio hanno analizzato i divari salariali di genere in Italia tra metà anni novanta e metà anni duemila, adottando una metodologia di analisi flessibile e originale applicata a tutta la distribuzione salariale. Inoltre, nelle loro elaborazioni considerano  che il divario remunerativo fra i sessi può di fatto essere influenzato da altri aspetti, quali differenze di genere nella distribuzione delle caratteristiche individuali e nella probabilità di partecipare alla forza lavoro. /p>

Dalla ricerca emerge un crescente svantaggio femminile, soprattutto per le donne localizzate nella parte medio-alta della distribuzione salariale. Probabilmente le riforme hanno contribuito ad esacerbare lo svantaggio delle donne, creando un mercato del lavoro segmentato, ove coesistono lavoratori altamente protetti e tutelati e lavoratori svantaggiati, confinati in occupazioni flessibili. Le donne appartengono al secondo segmento, quindi si segnalano svantaggi salariali soprattutto per le occupazioni meglio retribuite.

«I risultati ottenuti ci portano a enfatizzare la necessità di politiche finalizzate a ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, e quindi la disuguaglianza fra i generi – spiega Chiara Mussida -. Far ricorso a meri contratti flessibili che forniscono alle donne migliori opportunità occupazionali non è sufficiente per un miglioramento se la società rimane ancorata alla visione tradizionale della famiglia. La flessibilità contrattuale potrebbe rappresentare un ostacolo all’uguaglianza fra i generi, se le donne restano confinate in occupazioni marginali e, al tempo stesso, devono sobbarcarsi carichi familiari - conclude -. Sono necessarie politiche specifiche per agevolare le lavoratrici, che supportino la cura di figli e famiglia».