Adottare la moneta unica è stata una buona idea? La domanda ricorre sempre più spesso nel dibattito pubblico. E la veemenza con cui spesso si scontrano le opinioni in merito fa più pensare a uno scontro ideologico che a una razionale questione economica. Eppure è solo discutendone con distacco scientifico che le conseguenze economiche dell'Euro si possono davvero comprendere. È quello che hanno tentato di fare il Laboratorio di analisi monetaria dell’Università Cattolica e l’Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa presentando l’Osservatorio monetario 3/2013. Nel corso della tavola rotonda conclusiva si sono confrontati su questo tema il professor Paolo Manasse, dell'Università di Bologna e il professor Francesco Daveri dell'Università di Parma.

Si parte dal primo dato di fatto: in Europa l'Euro ha fallito sul piano dell'armonizzazione politico-fiscale. Mentre per quanto riguarda l'Italia, avrebbe dovuto essere, nell'intento dei suoi sostenitori, il grimaldello per fare le riforme che ancora stiamo aspettando. E se queste considerazioni c'entrano poco con l'economia, non è un segreto che l'Euro avesse innanzitutto un fine politico: ossia quello di favorire il processo d'integrazione europea. Il dubbio che serpeggia però da Atene a Berlino è un altro. Al di là del fatto che ci abbia aiutato o meno a essere più uniti, l'Euro ha aggravato la crisi in Europa? Ha fatto dei danni? Chi ci ha guadagnato? E poi la domanda più seria: dovremmo uscirne?

Manasse mette a confronto la reazione dell'Eurozona di fronte alla crisi, rispetto a quella di Usa e Giappone: dopo un primo impatto più violento, il reddito pro capite e l'occupazione si sono risollevati meglio di quelli europei. L’altro aspetto critico di Eurolandia rispetto ai due Paesi presi come riferimento è la scarsa convergenza dei redditi. Il che significa che le disparità fra i redditi dei paesi membri Ue tendono ad aumentare. Discorso analogo per l'occupazione: i tassi tendono a non armonizzarsi. Ma stabilire se ciò è colpa dell'Euro è un problema spesso sottovalutato dagli scettici: per Manasse, infatti, l'unico modo per affermare con certezza se la moneta unica è stata la responsabile di questi fenomeni sarebbe conoscere come sarebbe andata la stessa storia senza l'Euro. Per esempio adottando come termine di paragone una serie di valori di riferimento ottenuti da una media delle prestazioni dei Paesi Europei che sono rimasti fuori dall'Euro. Da questo confronto l'Eurozona esce perdente solo sull'indice di produttività del lavoro, anche se in modo significativo. Insomma, la moneta unica non fa una gran figura. Ma allora uscire dall'Euro conviene?

«Discutere se fosse stato meglio non entrare o uscire sono due cose molto diverse», spiega Manasse. Il professor Daveri non si sottrae alla questione, definendo una leggerezza «affermare che sarebbe meglio l'Euro exit». Secondo l’economista un'uscita dall'Euro di un Paese non sarebbe passivamente subita dagli altri, anzi: di fronte a una eventuale svalutazione della moneta italiana anche altre nazioni avrebbero tutto l'interesse a fare la stessa cosa con le rispettive valute, e «sarebbe lo sconquasso dell'Europa». Molti economisti pro-Euro, inoltre, temono un forte effetto inflattivo nel ritorno alla Lira, anche se per Manasse la questione non è delle più rilevanti, perché «il vero problema del cambio di moneta riguarda la ridefinizione dei contratti». Per esempio: in quale misura ripagare in Lire svalutate un debito contratto in Euro? Anche se l'effetto svalutazione, oggi precluso, potrebbe ristabilire competitività all'impresa italiana (Sanpaolo stima che la sopravvalutazione dell'Euro è costata all'export lo 0,4% del Pil del 2012) Daveri e Manasse sono di un diverso parere. Più che rottamare la moneta unica bisogna «prendere il cacciavite e cercare di aggiustarla». 

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