Il professor Domenico Delli Gatti, docente di Economia Politica, coordina i due progetti di ricerca internazionali Polhia e Crisis. Obiettivo di entrambi è riuscire dove i tradizionali modelli economici hanno fallito: spiegare i fenomeni innescati dall’economic downturn e fornire strumenti atti a contrastarli.

Come? Con approcci alternativi nati dall’apporto dato all’economia da discipline come la fisica e la computer science, che mirano a superare i presupposti teorici classici introducendo il concetto di eterogeneità : «Le tipiche classi di agenti analizzate dalla macroeconomia, come famiglie e imprese, non sono uguali al loro interno. Pensiamo ad esempio al reddito - spiega Delli Gatti -. Tale diversità è ignorata nei modelli standard, che per semplicità ipotizzano ci sia un solo agente tipico per ogni classe».

Ma gli aspetti distributivi sono importanti perché influenzano i comportamenti: famiglie più o meno ricche consumano in modo diverso. Lo stesso vale per gli investimenti delle imprese e per le decisioni di una banca di erogare credito. Ancora, un’altro profilo di eterogeneità è quello delle aspettative e dei relativi meccanismi di formazione. Ad esempio, gli operatori di borsa: non tutti si comportano secondo ipotesi di aspettative razionali, cioè ragionando sui fondamentali : «Molti trader li ignorano completamente. Sono i cosiddetti chartist, quelli che “seguono il grafico”. Eppure - osserva Delli Gatti – non possiamo far finta che non esistano».

Di approccio ad agenti eterogenei se ne parlava già prima, ma con la crisi aspetti come la razionalità limitata, i comportamenti ispirati da atteggiamenti di carattere psicologico e l’eterogeneità nella distribuzione del reddito sono tornati in auge. Ciò anche per il contributo di una branca della fisica chiamata meccanica statistica, nata per studiare i comportamenti di particelle che interagiscono tra di loro. Queste sono di fatto degli agenti e sono diverse l’una dall’altra. La meccanica statistica è sorta esattamente per risolvere il problema della complessità. L’analogia con l’economia è chiara: da qui l’interdisciplinarietà che ha caratterizzato i sei nodi di Polhia (gestiti da altrettante università, italiane e straniere), e la presenza ancora più marcata di econofisici da tutto il mondo in Crisis.

Ma che differenza c’è tra gli output dei due progetti? : «Polhia - spiega -  ha prodotto decine di papers e articoli con spunti anche molto critici sugli approcci tradizionali, ad esempio il ruolo recessivo delle politiche fiscali di contrazione».

Altro tema interessante, molto apprezzato dai policy maker, è l’effetto dei network nella trasmissione del contagio finanziario, simile a ciò che in biologia è la diffusione epidemica di un’infezione. Al contrario, Crisis è un progetto più grosso (dieci tra università e centri di ricerca) ma con un nucleo più definito: l’idea è costruire un modello ad agenti dell’economia europea, partendo dai vari “pezzi” già esistenti . Ma come si riesce a far entrare tutti questi elementi in un unico modello? Analiticamente è ingestibile, proprio perché si considerano tanti soggetti. 

Ecco allora in aiuto un’altra disciplina, l’economia computazionale: «La soluzione - spiega Delli Gatti - è costruire modelli economici di agenti differenti che interagiscono tra loro, trasformarli in codici e poi simulare il comportamento dell’economia. Sarà il computer a calcolare tutto». In termini di risultati, quindi, Crisis produrrà non solo un modello, ma anche software, che potrà essere fornito ad altri ricercatori, magari in ottica open source. Oppure, se i modelli funzioneranno, la possibilità di vendere previsioni sull’andamento dell’economia. Il tema relativo alle entrate è d’obbligo, considerate alcune delle motivazioni prosaiche che hanno dato origine ai progetti: l’insufficienza di fondi di ricerca a livello universitario e a livello nazionale. Con meno di mille euro a persona si riesce a finanziare giusto il viaggio a due convegni l’anno – osserva Delli Gatti - perciò era importante trovare fonti di finanziamento a livello internazionale, e il Settimo programma quadro della Commissione Ue è stata l’occasione giusta. C’è poi una motivazione di relazione: ogni economista ha rapporti con colleghi in tutto il mondo con cui condivide interessi, ad esempio quello per gli agenti eterogenei. Le micro-comunità interagiscono, e in questo caso hanno deciso di rispondere alle research questions poste dall’Europa con il proprio metodo».

Senza contare che quella di fare ricerca con proiezione internazionale è una necessità quasi naturale:  «Basta guardare le riviste: ormai non si pubblica praticamente più nulla in italiano. L’inglese è diventata la lingua franca degli economisti». Uno sforzo apprezzabile, che di certo restituirà visibilità a tutto l’Ateneo.