Holly e Benji«Noi, quelli che…»: Lascia o raddoppia per i sessantenni, Carosello per i cinquantenni, DriveIn per i trenta/quarantenni, Holly e Benji per gli adolescenti e ventenni di oggi. Un gioco comune, a cena come negli scambi via email, insieme scherzosi e appassionati. Ma anche la spia dell’azione di processi culturali complessi, attivi nella vita quotidiana degli individui e dei gruppi sociali. Quante volte, infatti, le persone definiscono la propria appartenenza a una determinata generazione citando film, programmi televisivi, oggetti, marchi utilizzati o visti nella propria infanzia o adolescenza? Quello tra i media e le identità collettive è un rapporto stretto, per certi versi reso ancora più evidente dalle nuove tecnologie e dagli ambienti digitali. In una fase storica in cui l’esperienza sociale – individuale e collettiva, pubblica e privata – è segnata dalla presenza e dalla mediazione dei mezzi di comunicazione, l’appartenenza generazionale si manifesta in forme complesse e in qualche modo più opache che in passato, in funzione del ruolo sempre più decisivo dei media nel modellare le identità dei soggetti sociali. Da questo presupposto ha preso avvio il convegno che si è svolto venerdì 11 e sabato 12 settembre scorsi presso la sede milanese della nostra Università, promosso dalla rete di atenei legati al Progetto di ricerca di interesse nazionale Media e generazioni nella società italiana (2006/2009), coordinato dall’unità centrale dell’Università Cattolica di Milano, sotto la guida del professor Fausto Colombo, direttore di OssCom - Centro di ricerca sui media e la comunicazione.

media+generationsIl tema è oggi di particolare interesse nel dibattito pubblico, come hanno più volte ricordato nelle numerose relazioni gli studiosi provenienti da 7 paesi, fra cui Germania, Svezia, Finlandia, Iran, Turchia. Non solo sull’onda delle esigenze di ricambio generazionale espresse sulla scena politica americana o europea, ma anche in relazione allo specifico interesse per i media. I mezzi di comunicazione, variamente presenti nei vissuti delle diverse generazioni, e in grado di catalizzare un sentimento comune di appartenenza e di autoriconoscimento collettivo, si trovano infatti investiti dall’evoluzione delle tecnologie digitali e dal fenomeno del web 2.0, che inducono a leggere i rapporti tra le generazioni proprio a partire da usi e familiarità differenti con contenuti e tecnologie di “nuova generazione”. C’è chi parla di un vero e proprio gap culturale tra i cosiddetti “Digital Natives” (corrispondenti alle generazioni di coloro che sono nati dopo gli anni ’80 e dei cosiddetti “Millennials”, ossia coloro che sono diventati maggiorenni dopo il 2000), i “Digital Adaptives” (i nati dopo il 1964) e i “Digital Immigrants (i cosiddetti Baby boomers, nati tra il 1946 e il 1964). Tuttavia molti studiosi, come per esempio il sociologo Alberto Marinelli, intervenuto alla tavola rotonda finale del Convegno -  insieme a Renato Fiocca, docente di marketing della nostra università e Alessandro Rosina, professore di demografia -  invitano alla prudenza nell’attribuire le cause delle differenze alla solo diffusione delle tecnologie.

Guardando oltre le schematizzazioni del dibattito giornalistico, gli interventi di Piermarco Aroldi e Fausto Colombo hanno proposto di ripensare l’idea di generazione secondo un approccio multidimensionale, in cui al dato anagrafico si unisce l’importanza dei tratti biografici, storici e culturali. Fuggendo da approcci di tipo riduttivistico, i due docenti della Cattolica hanno sottolineato – in sintonia con l’intervento di Michael Corsten dell’Università di Hildesheim, fra i principali studiosi europei di processi generazionali – la ricchezza della nozione di generazione propria della tradizione sociologica, e la necessità di riportarla ad esprimere tutta la sua forza interpretativa. Nel presentare i risultati finali della ricerca Prin i docenti hanno sottolineato come gli appartenenti a una generazione - oltre a essere nati negli stessi anni e avere la stessa età, ovvero un set comune di esperienze formative - condividano una “semantica generazionale”, ossia “un ordine dominate di significati, una collezione di temi, schemi interpretativi, forme linguistiche, riferimenti valoriali propri solo di quella generazione”. Questa semantica, continuamente alimentata da discorsi e rituali in grado di definire la consapevolezza di un’identità condivisa, trova nei media un elemento decisivo da più punti di vista: nel catalizzare la memoria individuale e collettiva di una generazione, nel definirne le esperienze formative, nel contribuire ad articolare lo spazio pubblico del discorso generazionale, nel costituire l’esito (attraverso le scelte di consumo) di appartenenze e distinzioni in grado di influenzare la relazione con determinati prodotti culturali.

In questo articolato quadro interpretativo si è inserita la presentazione di alcuni risultati più in dettaglio provenienti dalla ricerca condotta dal pool di atenei italiani (le Università degli studi di Urbino, di Trento, di Bergamo, e La Sapienza di Roma). Fra questi, sono state presentate alcune analisi sulla rappresentazione di identità generazionali nella letteratura di consumo cosiddetta “rosa” (Luigi DelGrosso Destreri e Sara Zanatta), sugli usi delle citazioni di repertori culturali e mediali da parte dei blog delle più giovani generazioni (Giovanni Boccia Artieri), o sull’autoconsapevolezza messa in gioco nelle opere letterarie da parte degli autori di narrativa italiana trenta-quarantenni (Francesca Pasquali). Una generazione, quella degli anni Ottanta (oggetto di uno speciale approfondimento della ricerca), che attraverso gli scrittori sembra avere messo in scena proprio la difficoltà a coagulare un “noi” e – attraverso quel noi – una visione del futuro condivisa. La presentazione della vasta indagine empirica realizzata dalle unità di Milano, Urbino e Roma, compiuta su un corpus di oltre 200 persone interrogate tramite interviste e focus group, ha inoltre messo a fuoco in dettaglio la presenza dei media nei vissuti delle diverse generazioni, a partire dalla ricostruzione delle memorie e delle diverse esperienze storiche di quattro generazioni: i “Dopoguerra” (nati nel 1940/1952), i “Boomers” (1953/1965), i “Neo” (1966/1978) e i “Post” (1979/1991). In particolare, l’intervento di Luca Rossi e Matteo Stefanelli ha permesso di descrivere in profondità le “retoriche” e i cosiddetti “repertori culturali” presenti nei vissuti dei quattro gruppi, attraverso il supporto di alcune “mappe memoriali” in grado di rappresentare schematicamente la diversificazione e complessificazione delle ricostruzioni mediali generazionali. Repertori implicati e “agiti” da complessi processi sociali di differenziazione e autodefinzione, ma anche serbatoi di riferimenti condivisi “di per sé”, come ancoraggi dell’identità e - attraverso la memoria - della propria posizione nel continuum della Storia. Un continuum riconoscibilissimo, intuitivamente, anche tutti i giorni, in virtù del “gioco” tanto comune del dirsi “quelli che” La Fiat 600, Alto Gradimento, LadyOscar, Dragonball…

La brochure del convegno ( KB)